La fine dell'ora legale coincide, di solito, con l'inizio dell'autunno vero, quello che fa addensare brume e nebbie sui cieli bassi della città, romantiche forse, certamente nemiche di una buona ventilazione. Con la cappa sospesa sui tetti comincia la caccia alle polveri sottili che ristagnano e minacciano tutti. Comincia il processo dei veleni, rumoroso e pubblicizzato, una procedura con risvolti talvolta isterici che si chiude, di regola, con la condanna degli automobilisti. Colpevoli: per usare motori a combustione interna che si producono da poco più di un secolo nei Paesi industrializzati, per avere creduto nella possibilità della privata libertà di movimento.
E alla condanna seguono le sanzioni: divieti, blocchi, limitazioni, balzelli, l'accusa di essere untori ad alto numero di ottani, Va così, i bersagli facili non si abbandonano a cuor leggero. Uno dei luoghi comuni più tenaci per la colpevolizzazione degli automobilisti è stato, per anni e anni, l'esaltazione del trasporto pubblico urbano come alternativa.
Si è decantata l'ecologica pulizia
dei tram, si è enfatizzata la superiorità
del trasporto collettivo all'individualismo
dei teorici del motu proprio,
si è ripetuto che l'uso dei mezzi Atm
avrebbe consentito un traffico sicuramente
più scorrevole.
Ebbene, tutta questa esaltazione del trasporto
pubblico urbano si è rivelata
una retorica menzognera. L'Atm, grazie
a una prassi che è poco milanese,
nelsensochenonrientra nella tradizione
dei servizi offerti da questa città, ha
curato molto l'apparenza e poco la sostanza.
Management esteso e ben pagato, immagine
molto curata, struttura all'americana,
ma tram e bus trascurati, scambi
d'altri tempi, binari e manutenzione così
così.
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