Provate a leggere End of the Century, 1984, la poesia scritta da Eileen O'Shaughnessy nel 1934, pubblicata sul giornale della «Sunderland High School». Soltanto un folle - o un uomo in malafede - potrebbe credere che abbia influenzato 1984, il romanzo più noto del marito di Eileen, George Orwell. Leggetela, è ricalcata, da anni, sul sito della Orwell Society. La poesia, distopica, articolata in quarantadue versi, parla di «venti sintetici», di una «Stazione Telepatica 9» e di «raggi violetti». Il distico più interessante è questo: «La cremazione mentale bandirà/ reliquie, filosofie e raffreddori». Quanto al resto, Eileen immagina che «passato e futuro possano concordare/ in curiosa armonia». In 1984, Orwell postula l'esatto contrario: il futuro divorerà il passato, i classici - quelli evocati con calore da Eileen: Virgilio, Orazio, Shakespeare, Yeats... - saranno emendati, riscritti, semplificati, «allineando le loro opere ai principi del Socing», a giustificare i coercitivi fini del partito.
Terminato nel 1948, può darsi che Orwell abbia voluto intitolare il romanzo 1984 - che in un primo momento aveva battezzato L'ultimo uomo d'Europa - in onore alla moglie. Eileen era morta nel 1945, a marzo, nell'ospedale di Newcastle, durante un'isterectomia. Avrebbe compiuto quarant'anni qualche mese dopo, il 25 settembre. Aveva conosciuto Orwell dieci anni prima, a Londra, a una festa. Gli piacevano quel fare sgraziato, la figura scheletrica, i modi da uomo del sottosuolo. Nel 1933 Orwell aveva pubblicato Senza un soldo a Parigi e a Londra: amava frequentare i reprobi, i massacrati dalla società. Amava farsi del male. Amava avventurarsi. Lei, a dire di tutti - occhi azzurri, pallida, viso felino -, era molto bella: per lui, rinunciò alla vita accademica, accantonò il proprio talento, s'infognò a Wallington, nell'Hertfordshire, un minuscolo cottage senza elettricità né acqua calda, con la latrina nel cortile. Orwell scrive - La strada di Wigan Pier - e crede di poter campare grazie a una capra e a una manciata di galline; Eileen lava, pulisce, munge, cucina e corregge le bozze. Alla morte della moglie, Orwell non c'è; è in un ospedale militare, a Colonia. I polmoni sono in crollo. Da un paio di mesi, tra Francia e Germania, testimonia le fasi finali della Seconda guerra. A Parigi, come ci ricorda Anna Funder in L'invisibile signora Orwell (Feltrinelli, pagg. 480, euro 28), alloggiava all'Hotel Scribe, «insieme a molti corrispondenti stranieri», incontra Hemingway - di stanza al Ritz - e «probabilmente è tornato nei bordelli». L'avverbio mi sorprende. Probabilmente. Una biografia non si fa con i probabilmente. Nel punto più commovente del libro, non si afferma che probabilmente Orwell è andato ai vespri o al Louvre. Mentre la moglie di Orwell, Eileen, sta male, lui se la spassa in un bordello. Probabilmente.
Per i lettori di Orwell, il libro di Anna Funder, probabilmente, è inutile. L'autrice australiana ci dice, in sostanza, che Orwell era un porco, un misogino, un maschilista - senza la moglie (bella, casta, giusta) non avrebbe scritto un rigo. Dal punto di vista strettamente biografico, nulla che non sapessimo già. Da anni gli storici lavorano per elevare dall'invisibilità la figura di Eileen: nel 2020 Sylvia Topp ha pubblicato un libroide di oltre cinquecento pagine dal titolo provocatorio, Eileen. The Making of George Orwell. Quanto alla sessuomania orwelliana: nel 2020, su The Critic, D.J. Taylor ha impilato una lista di amanti di George. Sono tante. «Quando si trattava di donne, Orwell era un tradizionalista, maschilista, voyeur, uno che non lesinava a provarci quando gli capitava l'occasione». Non si faceva problemi di età: Mabel Fierz, un flirt degli anni Trenta, era sposata, gli diede una mano a trovare un editore, «avrebbe potuto essere sua madre»; Dora Georges, alla quale dedica una poesia verso la fine degli anni Venti, di anni ne aveva sedici. D.J. Taylor ha pubblicato Orwell: The New Life (altro tomoide da cinquecento pagine) nel 2023; la Funder però cita - sfottendola - la biografia uscita vent'anni prima. A differenza di noi comuni maschi rapaci, il fedifrago Orwell chiedeva il permesso alla moglie. Nel 1938, a Marrakesh (lo sketch è raccontato da pagina 215 in poi), «sempre più attratto dalle giovani arabe», gli viene voglia di averne una. La moglie annuisce.
Nel tentativo di scheggiare l'icona di Orwell, la Funder adatta spesso materiali di rincalzo, adotta la povera Eileen, specie di virgo virilis, come pretesto per scagliarsi contro «il patriarcato, uno schema Ponzi planetario mediante il quale vengono saccheggiati e rubati il tempo, il lavoro e la vita delle donne». Le pagine più imbarazzanti sono nei dintorni della 237, quando l'autrice ci spiega che «le code per i firmacopia sono un crepaccio nelle relazioni interpersonali» perché «la gente, non a torto, vorrebbe che tu fossi la persona che pensa tu sia sulla base della tua opera». Che Orwell non sia - e non voglia essere - ciò che trasuda dalla sua opera è, al contrario, imperdonabile.
Peccato. Il tema - Orwell, il giornalista integerrimo che dava del fascista a Yeats, dell'imperialista a Kipling, dell'antisemita a Pound e del «finocchietto alla moda» a Auden, ridotto a laido schiavo delle proprie animalesche pulsioni - avrebbe preteso altra penna, altro brio, altra impertinenza biografica. Risoluta nel livore, per lo più scorretta - esemplare, da pagina 327, la lettera di Eileen inframmezzata dai commenti dell'autrice a dis-orientare il lettore -, la Funder ci dice che Eileen, durante la Guerra civile spagnola, è stata più audace del marito, il quale, in Omaggio alla Catalogna, non si sogna di nominarla (e perché avrebbe dovuto?); che è lei la vera fonte di ispirazione de La fattoria degli animali, forse è lei ad aver scritto quel libro, vista «la strenua ostinazione con cui Orwell cerca di sminuire il contributo di sua moglie».
Piuttosto, è il metodo della Funder a essere scorretto. Prendiamo questo passaggio, che racconta il lavoro di Eileen presso il Censorship Department, nel 1940. «È impossibile sapere con esattezza di quale tipo di censura si occupasse Eileen alla Senate House. È possibile che Orwell sia stato ispirato dal suo lavoro... è probabile che Orwell abbia preso l'edificio come modello per il Ministero della Verità (cioè della menzogna) in 1984». Possibile, probabile, chissà. Ipotesi impalcate sull'ideologia. Stando alla Funder, se «siete una giovane donna» in fila, ad attendere che Orwell scarabocchi una firma sul vostro libro, «potreste sentirvi chiedere... di fare una passeggiata nel bosco con lui». Potreste. Appunto. Nel dubbio, Orwell è un violentatore seriale. Le pagine più belle di questa biografia probabilistica, così, sono quelle che raccontano i mesi di Orwell recluso a Jura, alle Ebridi, malato, con il figlio adottivo, Richard, a scrivere il libro della vita, 1984. Cercava moglie - è vero. Nessuna voleva quello scrittore inerme, in punto di morte. Ad Anne Olivier Popham, una delle pretendenti, scrive: «Non mi interessa molto chi va a letto con chi, mi sembra che l'importante sia essere fedeli in un senso emotivo e intellettuale». E poi: «A volte sono stato infedele a Eileen, e l'ho anche trattata molto male». Dopo diversi rifiuti, a cedere è Sonia Bronwell, bella, solida, capace redattrice di Horizon. I due si sposano nell'ottobre del 1949; Orwell è debole, fa la tratta fra diversi ospedali; morirà tre mesi dopo.
Quanto a Eileen, chi voglia sapere davvero qualcosa di lei si accontenti della pagina Wikipedia english: ha il pregio di essere sintetica.
«Essendomi allenata a leggere dietro i passivi e le omissioni», così la Funder descrive il proprio sistema di lavoro Cioè: estorcere la mia verità tra non detti e fraintesi. Cioè: dare per vero il presunto. Strategia da medagliato membro del Socing.
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