Il fenomeno dei nonni beat nella Milano del rock

È un nonno beat, che per nulla al mondo rinuncerebbe a cantare I can't get no satisfaction; proprio come i Rolling Stones, suoi unici e incontrastati idoli. Se il nipotino piange nella culla, lui è capace di staccare dal chiodo la sua Fender Stratocaster, mettere l'amplificatore a tutto volume e "tranquillizzarlo" con un a solo di Jimmy Page, mitico chitarrista dei Led Zeppelin. Un nonno degenere? Ma no. Perché di nonni così è piena Milano, anche se i soliti esperti ci dicono un giorno sì e un giorno no che questa è ormai una città vecchia e grigia (lo dice il cantautore e musicista Morgan); che dentro la Cerchia non sopravvivono più di cinque o sei locali che propongono musica dal vivo; che andando avanti così Milano somiglierà sempre più a un ospedale geriatrico (Andrea Amichetti, direttore del sito Internet «Zero»).
È vero invece che se i più giovani sembrano poco interessati ad ascoltare concerti rock perché, come dice Davide Israel, patron delle Scimmie, sono imbevuti di cultura televisiva, i loro padri, se non i loro nonni, affollano sempre più le sale-prova cittadine cimentandosi tra tamburi, amplificatori, chitarre e impianti-voce. E così, paradossalmente, mentre i nipoti stanno a casa a sbadigliare davanti a X Factor, quegli scapestrati dei loro nonni, finalmente in pensione, finalmente liberi dal pesante giogo figli-lavoro-pensieri, rispolverano la vecchia chitarra elettrica e corrono in scantinati o dentro sale insonorizzate a suonare.
Che poi lo facciano bene o lo facciano male non importa: l'importante è tornare con musica e ricordo agli Anni Sessanta quando, per una sorta di magia epocale, tutti i ragazzi suonavano uno strumento che potesse avvicinarli ai mitici Beatles, ma anche solo ai Rokes o all'Equipe 84.
Del resto c'è un altro dato a confermare la vitalità rock della terza età e viene dagli States: la Riaa, Associazione americana industriali discografici, svela che circa il 25 per cento delle vendite di dischi, da qualche anno è movimentato da un pubblico di over 50 che continua a preferire la musica di artisti ultra-cinquantenni, Elton Jones, Rolling Stones, Eric Clapton e via elencando. A Milano, questo fenomeno salta all'occhio varcando l'entrata delle numerose sale prova in cui fanno settimanalmente tappa i nonnetti del rock. «Almeno il 5 per cento dei nostri clienti - dice ad esempio Fabrizio, di Massive Arts Studios in via Villoresi 24 (mille metri quadrati, sei sale prova e tanti altri servizi per chi suona) - è composto da over 50».
Si tratta di una percentuale di tutto rispetto, considerando che sono centinaia i musicisti che settimanalmente si ritrovano qui. Pensionati ma anche medici e insegnanti varcano almeno una sera alla settimana le porte insonorizzate del centro per darsi alla pazza gioia tra batterie pestate senza pietà e amplificatori a palla... «Tutta gente che fa rock Anni Sessanta e Settanta - conclude Fabrizio - mica il liscio o il rag-time».
La percentuale di nonni beat arriva a sfiorare il 10 per cento della clientela nelle quattro sale di Free Sound, in via Washington 40 (dal 1978 anche corsi per strumentisti a tutti i livelli): «Tra i nostri clienti più agé - dice la titolare, Patrizia Cantalamessa - abbiamo anche psicologi e dentisti. Tutti rockettari duri che suonano in formazioni molto omogenee per età e per professione».


A incoraggiare gli anziani dilettanti a ributtarsi tra le braccia di Babbo Rock ci sarebbe anche, secondo gli esperti, il fenomeno delle reunion tra i grandi vecchi della musica internazionale: dagli psichedelici Pink Floyd, tornati insieme sul palco nel 2005 a Londra in occasione del Live 8 per la pace, al profondo rock dei Deep Purple il cui leader, Ian Gillan, a 64 anni suonati (è proprio il caso di dirlo) attira ancora folle di brizzolati ma anche di giovanissimi. Come le ottomila persone osannanti che hanno riempito di recente il Forum di Assago.

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