Fermate Andrea Camilleri, per il suo bene. Sta smontando il meraviglioso castello di una vita, la sua, che era di conforto e di speranza per tutti i vinti, i geni incompresi, gli sfiduciati che sentono dinonricevere quanto meriterebbero. Uomo di buona cultura e talento, Camilleri aveva vissuto a lungo nell’anonimato, subendo anche l’onta di una bocciatura a un concorso per entrare in Rai. Non s’era arreso, era andato avanti con un po’ di regìe e un po’ di sceneggiature, ci fu molto di suo nei successi del tenente Sheridan e del commissario Maigret: ma la gente non lo sapeva, Camilleri Andrea continuava a restare un nome sconosciuto che scorre nell’indifferenza tra i titoli di coda; insomma uno che lavorava anche bene, ma nell’ombra.
Poi, a settant’anni suonati, dopo qualche libro discreto ma niente di che, s’inventa il commissario Montalbano e arrivano insieme il grande successo, i contratti, i soldi, un titolo via l’altro e la serie tv. La parabola al contrario di Camilleri era la dimostrazione che Iddio non paga sempre al sabato, ma qualche volta anche un po’ prima. Adesso purtroppo dopo il primo Camilleri (quello che non si filava nessuno) e il secondo (quello della gloria) ne è nato un terzo, che sta oscurando il secondo e facendo rimpiangere perfino il primo.
L’ultimo Camilleri è imbarazzante, ma nessuno ha il coraggio di dirglielo. Non ce l’hanno all’Unità, dove mette in fila banalità e gaffe quotidiane (una delle ultime è l’aver rimproverato a Berlusconi un’inesistente diserzione a un Consiglio dei ministri); non ce l’hanno quelli del Pd che avrebbero interesse a farlo tacere, piuttosto che a farlo giocare contro il governo al quale offre assist e autogol tipo «la Gelmini non è un essere umano»; e non ce l’hanno soprattutto a Micro-Mega, dove l’ottantatreenne scrittore si presenta con in mano, ahimè, non più opere di narrativa, ma poesie. Forse credendo inesauribile la sua capacità di rinnovarsi, Camilleri deve aver pensato che dopo lo sceneggiatore, il regista e il romanziere, potesse nascere anche il poeta. Ma questi scritti ultimi, chiamati Poesie incivili, finiranno con il fare un effetto ancora più patetico di un centravanti che si ostina a giocare dopo i 35 anni, o di un pugile che risale sul ringaquaranta.
Sul numerodi Micro-Mega uscito ieri mattina in edicola ci sono ben sei pagine, di queste poesie. Ne riportiamo qualcuna, in modo che il lettore se ne possa fare un’idea senza la nostra senz’altro parzialissima mediazione. «Quel medio alzato all’Inno di Mameli / se lo metta nel culo, Senatore, già fatto / largo per averci infilato il Tricolore. Mi/ congratulo per la capienza! Che altro / potrebbe contenere? Una diecina di copie / della Costituzione? Il busto di Garibaldi? / Non bastano ancora? Provi col Vittoriano /Ma questo suo ano è proprio un buco nero!».
Altro capolavoro: «Il ricco porco, eletto a capo dei suoi simili / alle scrofe da lui montate ripagò il favore / ammettendole al truogolo riservatoa pochi/a suoilegulei,ai suoigiornalisti, ai suoi boia / grufolanti e grugnenti. I porci, com’è noto / non sono bestie di fiuto fine. Rovistano nel letame / vi si rotolano, vivono alla giornata. Non sospettano / che un giorno saranno mutati in salsiccia».
E che dire di quest’altro brano? «A loro il linguaggio non si forma nel cervello, ma nel ventre / e quindi non emettono fonemi, ma borborigmi, rutti, scoregge». Non è solo per le volgarità. È che anche nel resto non si vede né genio, né satira, né tantomeno poesia. Che cos’è che fa poesia, o che fa ridere, in un verso come questo: «Ha più scheletri dentro l’armadio lui / che la cripta dei cappuccini a Palermo»? Oppure questo: «Ogni tanto di notte, quando passa il tram / le ossa vibrano leggermente / e a quel suono gli si rizzano i capelli sintetici»?
Non è che ci dia fastidio la satira antigoverno: anzi, guai se non ci fosse. La gag della lettera di Benigni a Berlusconi alla trasmissione di Celentano è un capolavoro di comicità che non ci stancheremmo mai di rivedere. Male «poesie incivili» di Camilleri sono solo il segno di un mesto declino, forse delle ingiurie del tempo: in ogni caso di un qualcosa che chi vuol bene a Camilleri dovrebbe tenere riservato come una faccenda privata.
Il suo raffinato editore, Sellerio, capirà che per carità cristiana poesie del genere è opportuno lasciarle chiuse in un cassetto? O cederà al buonismo e le pubblicherà? Urge qualcuno, a sinistra, che trovi il coraggio di dire che anche le poesie incivili di Camilleri, come la corazzata Potemkin, sono «una cagata pazzesca». Avrebbe pure lui, come Fantozzi, 92 minuti di applausi ininterrotti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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