La festa di Natale fa il giro del mondo

Il 25 dicembre nella chiesa di San Gottardo al Corso i coreani celebrano la loro Messa

Marina Gersony

«I coreani a Milano sono circa 2000, di cui 200 cattolici. Natale è un'occasione per stare insieme». Park Duck Soo, noto come don Stefano, è il cappellano dei coreani in città e provincia, ospite della Parrocchia San Gottardo al Corso. «Il 25, alle 16, celebriamo una messa coreana - racconta -. In seguito si cena con i piatti tipici per finire con canti e racconti per i bambini. La serata termina con una tombola».
Arrivano dall'Africa, dall'America Latina, passando per il Continente asiatico. Sono gli immigrati e i cittadini di origine straniera che vivono in città, anche loro coinvolti dal clima di festa al di là di ogni religione o fede. Spesso i festeggiamenti sono un miscuglio sincretico di tradizioni italiane e straniere, anche se il sentimento è quello di un diffuso «volemose bene». Per alcuni, italiani compresi, è l'occasione di grandi bevute e mangiate e per riempire il frigorifero più del solito. «È un enorme delirio pagano: paccottiglia luccicante, cibo in eccesso, gente isterica e consuetudini che hanno ben poco di spirituale - bacchetta Ivan, cuoco di Bratislava -. Il Natale dovrebbe richiamare ai veri valori». Ma tant'è.
«In Polonia si fanno grandi preparativi per la cena del 24. Non ci sono mai meno di dodici portate, il numero degli Apostoli, e un piatto vuoto è sempre in attesa di qualche affamato», spiega Magdalena Szymkow, giornalista nata a Stettino. La sua amica Renata Malinowska, 30 anni, decoratrice d'interni, sente invece la nostalgia per la sua Cracovia: «Da noi c'è un clima meno consumistico. Vivo a Milano da cinque anni, mi piace, ma mi mancano alcune tradizioni del mio Paese. Comunque mi consolerò con una cena a base "Barszcz Czerwony z Uszkami" (zuppa di barbabietole con raviolini di carne)».
Diversi sono i festeggiamenti per Dominique Ghislaine Abousse Mimbang, 24 anni, nata a Yaoundé, capitale del Camerun: «La Vigilia mangiamo i piatti tipici - racconta -. Per esempio il plantano, una specie di banana molto saporita. Mia sorella è un'ottima cuoca, nessuno sa preparare come lei il “Ndolé” a base di arachidi e carne. Il pasto si conclude con bellissime canzoni religiose». Judith Raymond Mushi, classe 1974, è nata in Tanzania. Ha organizzato il primo corso di lingua swahili in città: «Da noi ovunque si avverte l'energia della fede. Cantiamo, balliamo e mangiamo lo “yama choma” (carne alla brace) che si prepara all'aperto. In questo periodo dell'anno fa caldo mentre a Milano si gela. Auguro “Heri ya Noeli” a tutti, buon Natale in swahili».
Anche i latinoamericani fanno festa, anche se ogni comunità per conto suo: «Per noi peruviani il retaggio del cattolicesimo è forte. Festeggiamo il Natale nelle case, ricchi e poveri tutti insieme, il piatto principale è a base di tacchino», afferma Julio Montesinos, in arte Tumba Tumba, attore di teatro popolarissimo tra i peruviani e latinoamericani a Milano e non solo.
Anche Sara Orabi si è lasciata catturare dall'atmosfera natalizia. Egiziana di origine, 19 anni, è nata a Milano: «Partecipo con gioia insieme alla mia famiglia a questo clima di festa.

Anche per noi musulmani è un momento di condivisione. Quest'anno in particolare la Festa del Sacrificio verrà celebrata il 30 dicembre, la ricorrenza più importante dopo i festeggiamenti di fine Ramadan. E poi, da buona milanese, non rinuncio mai al panettone in tavola».

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