Feudo Luparello il barocco della Sicilia

Una cantina nata già grande Feudo Luparello, che ha presentato i suoi vini nei giorni scorsi nel corso di una sicilianissima cena nel ristorante di Filippo La Mantia a Milano. Una cantina che, in un momento in cui il mondo enologico sembra non potere fare a meno - in modo spesso un po' artificioso - del «less is more» dell'architetto Mies van der Rohe, punta invece forte su un'immagine barocca che sarebbe sciocco non considerare connaturata alla grande meravigliosa isola. E mentre tutta l'attenzione dei critici (più che quella degli enoappassionati) sembra concentrarsi sull'eleganza un po' astratta dei lunari vini dell'Etna, il progetto di Walter Mazzarello, titolare dell'azienda, va in una direzione non opposta ma differente. Un passo di lato. Vini intensi e potenti, che non si vergognano di essere l'espressione di una terra esuberante e di grandi contrasti. L'idea è quella di non nascondersi, di non costringere il winelover a una cervellotica caccia al tesoro, ma di esporsi, di rendersi disponibili, di venire incontro ai gusti di un consumatore contemporaneo. I vini Feudo Luparello sono prodotti nel Sud della Sicilia, per lo più nella Val di Noto. La gamma comprende quattro etichette tutte con un silhouette ben ritagliata. Un bianco da 70 per cento Grillo e 30 Viognier da uve prodotte a Santa Margherita in Belice, e quindi nell'agrigentino, e che fa soltanto acciaio inox. Ne esce un vino elegante e floreale, non troppo muscolare, perfetto per l'inizio del pasto. Ah, perché i vini FL sono perfetti per mangiarci addosso.

Due i rossi: un Blend di Nero d'Avola e di Syrah (anche qui la proporzione è 70-30) da uve di Noto, che fa solo cemento e ci ha stupito per la rustica eleganza da gentiluomo di campagna; e un «taglio» siculo-internazionale da uve Nero d'Avola, Syrah e Cabernet che fa un po' di legno ed è decisamente il vino più ambizioso del mazzo: un vino vigoroso eppure equilibrato, un vero campione convinto dei suoi mezzi. Né va trascurato il Moscato Passito di Noto, che interpreta con soavità un classico «dolce» del territorio.

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