Il "figliol prodigo" di Preti deve ritornare in Italia

Una versione dell'opera andrà all'asta a Parigi il 23 marzo. E merita di essere riportata a casa

Il "figliol prodigo" di Preti deve ritornare in Italia

Sarà buona cosa che torni in Italia un importante dipinto di Mattia Preti (1613-99), che ho più volte esposto con condivisa emozione, a partire dalla mostra monografica di Venaria Reale in occasione del quarto centenario della nascita del pittore. Si tratta del Ritorno del figliol prodigo posto in vendita, presso Artcurial, a Parigi il 23 marzo. Vendita assai strana, risultando il prezioso dipinto, noto agli studi, da John Spike a Giorgio Leone, vincolato con un provvedimento motivato, e quindi, salvo non credo intervenute revoche, inesportabile. Perché allora si vende a Parigi? Perché non in Italia, dove è stato dipinto e dove è sempre stato? Né vi è ragione che l'Italia, ora, rinunci a uno dei capolavori giovanili di Preti, ancora caravaggesco, ma carico di umanità e ironia.

Il bambino in primo piano, che porta la camicia bianca nel cesto e le scarpe del figliuol prodigo, mocassini con suole e tacchi rossi in stile Louboutin (forse l'unico motivo di interesse francese), è una presenza giocosa, virata nella malinconia della espressione seria sulla livrea di famiglia: grande, indimenticabile invenzione.

La scena principale, con il padre e il figlio, è intensa e drammatica: il figlio si rimette tutto al perdono del padre e quasi si tuffa fra le sue braccia, sotto lo sguardo amorevole della madre in una protettiva penombra, certa dell'esito della vicenda che ha portato fuori casa l'amato (e pentito) figlio. Tutto avviene secondo il copione di un rito familiare, con la prevedibile magnanimità del padre davanti ai parenti indifferenti e al fratello scuro in volto.

Nella parabola che Gesù (nel Vangelo secondo Luca) racconta, un uomo ha due figli e, nonostante non faccia mancare loro nulla, il più giovane pretende la sua parte di eredità mentre il padre è ancora in vita. Ottenutala, si reca in un paese lontano dove spreca tutte le sue ricchezze in una vita dissoluta. Ridotto alla fame, per sopravvivere è costretto a fare il mandriano di porci. Medita pertanto in cuor suo di andare da suo padre e dirgli: «Padre ho peccato contro Dio e contro di te, non merito di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi servi» (Luca 15,18-19). Ma, mentre è ancora per strada, il padre lo scorge e gli corre incontro, accogliendolo a braccia aperte, lo abbraccia e gli dà un bacio. Il figlio allora dice al padre: «Padre mio ho peccato contro Dio e contro di te, non merito di essere chiamato tuo figlio» (Luca 15,21). Il padre lo interrompe e lo perdona, poi ordina ai suoi servi di preparare una grande festa per l'occasione, uccidendo allo scopo il «vitello grasso». Il primogenito non capisce perché al fratello debba essere riservato un simile trattamento, e ricorda al genitore che lui, che gli aveva sempre obbedito, non aveva mai avuto nemmeno un capretto per far festa con gli amici. Ma il padre rispose: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Luca 15,31-32).

Il soggetto del Ritorno del figliol prodigo è stato trattato frequentemente da Mattia Preti nella sua lunga attività. Le versioni conosciute sono otto, dai primi anni '40 fino ai tardi anni '80. Comprendono, nell'ordine cronologico proposto dagli studiosi: il quadro delle Bayerische Staatsgemäldesammlungen di Monaco di Baviera, finora il più antico, riferibile ai primi anni '40 del secolo; quello del Musée de Tessé di Le Mans, forse databile al secondo lustro dello stesso decennio; il dipinto di Palazzo Reale di Napoli assegnato al 1654-1655; l'altro del Museo di Capodimonte, su approssimativa base documentaria, dato al 1656 perché presente tra quelli acquistati nello stesso anno da Diomede Carafa di Maddaloni; la tela già della Compagnia di Belle Arti di Milano, degli anni '60; quella del Museo civico di Reggio Calabria, datata nei successivi anni '70; il quadro segnalato da Spike presso Semenzato a Venezia, che risale agli anni '80 e che forse è da identificare con quello concepito per il cavalier Silvio Sortino di Palermo e di cui esistono almeno due copie maltesi, come indica Keith Sciberras.

Questa ricca produzione, cui vanno aggiunte le versioni non autografe ma di bottega e seguaci, va integrata con altri dipinti dello stesso soggetto ricordati nelle fonti e nei documenti d'archivio relativi al Cavalier calabrese. Nella Vita di Bernardo De Dominici (1742-1745), oltre alla tela acquistata dal «Duca di Maddaloni», se ne ricordano altre due in pendant eseguite per il «Marchese Gagliano», una con il «figliolo prodigo che scialacqua in conviti la sua porzione ottenuta dal Padre, e l'altra dello stesso, che pentito chiede perdono al Padre, e viene da quello abbracciato», e ancora una in possesso del «Cavalier Cicala» con il «figliuol prodigo accolto dal pietoso Padre». Dalle informazioni archivistiche, relative ad alcuni quadri commissionati da don Silvio Sortino a Mattia Preti, risulta un'altra storia del figliol prodigo.

Nelle interpretazioni di Preti, quale che sia l'impaginazione, di ampio respiro o di taglio ravvicinato, il motivo iconografico essenziale è l'abbraccio fra padre e figlio, che esprime il sentimento della riconciliazione e le ragioni dell'amore e della misericordia. Della tela di collezione privata riapparsa a Parigi si ignora la storia collezionistica. È una testimonianza della ispirazione caravaggesca di Mattia Preti nel tempo della sua formazione romana: la luce proviene da sinistra, da una fonte fuori campo, e illumina in modo uniforme tutta la scena. Anche l'abbigliamento soggiace a questo spirito: è infatti moderno, contemporaneo all'artista più che al momento storico rappresentato; la sontuosa tunica e il turbante del padre, avvolto attorno a un casco metallico, di foggia quasi turca, sono un diretto riferimento a una ambientazione mediorientale per attualizzare il messaggio evangelico, come fece Caravaggio nei suoi soggetti religiosi.

L'opera è stata resa nota da John T. Spike, che la data intorno al 1640, in relazione con l'Incredulità di san Tommaso di Genova e con il Concerto di Napoli, dipinti tra la fine del quarto decennio e la prima metà del successivo. Tale cronologia è confermata anche dalla impostazione del gruppo del padre e del figliol prodigo analoga a quella della tela di Monaco di Baviera, databile agli inizi degli anni '40, e dal confronto con la Benedizione di Tobia del Musée des Beaux-Arts di Montréal, attorno al 1645, e con la Predica di santa Caterina d'Alessandria del Museo Municipal de Arte Decorativo Estévez di Rosario, dello stesso periodo, con un volto di anziana molto simile a quello del presente dipinto. Nessun dubbio che questa originale versione sia uno sviluppo di quella di Monaco di Baviera, più semplice e immediata (e anche didascalica) nel dialogo amoroso e negli sguardi del padre e del figlio, che muovono la reazione indispettita del fratello sfrontato nel gesto spavaldo di ripulsa e di sfida, con l'abito elegante e il cappello piumato.

Un contrasto e un confronto che si stemperano nel dipinto meno noto ora riapparso, dove il fuoco è nel piccolo paggio con le scarpe rosse che ci distrae dal

soggetto principale per la compunta concentrazione con cui recita la sua parte. Mattia Preti, genio teatrale, sembra qui voler scherzare con un inserto imprevisto e fantasioso, che anima il racconto familiare. Imperdibile.

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