Fincantieri, la promessa di Bono: «Riva Trigoso? No, non chiuderà»

Fincantieri, la promessa di Bono: «Riva Trigoso? No, non chiuderà»

«Il mondo va così». Avrebbe voluto tagliare cortissimo, Giuseppe Bono, amministratore delegato Fincantieri, a margine del convegno Uil «Liguria nel Mediterraneo. La nuova rotta per lo sviluppo dell'Autorità Portuale», tenutosi ieri mattina a Genova, a Palazzo San Giorgio. E invece ha dovuto cedere alle tante, per lui troppe domande su un unico tema, il destino degli stabilimenti liguri della partecipata statale.
«Il cantiere di Riva Trigoso non chiuderà, non abbiamo mai avuto intenzione di farlo - ha quasi sbottato nella ressa dei giornalisti - nonostante la crisi siamo riusciti a mantenere tutti i lavoratori, mentre molti competitori europei, come quelli francesi, hanno dovuto ridurre drasticamente le maestranze. Di cosa stiamo parlando?».
In una congiuntura economica difficile, insomma, è restrittivo concentrarsi sul locale, sulle assemblee dei lavoratori, ma bisogna guardare al futuro, perché la volontà non è dei singoli ma del sistema, che molto spesso non funziona. «Quanto di ciò che progettiamo riusciamo effettivamente a realizzare? - ha voluto attaccare l'Ad, sottolineando che in tale quadro Fincantieri non ce la può fare da sola, ma senza confermare la volontà di andare a cercare aiuto in investimenti oltreoceano - Io nel 2006 avevo preparato un piano che ci avrebbe permesso di ricavare preziose risorse da reimpiegare. È il sindacato che non me l'ha fatto fare».
E ancora: «Quel che succede nel mondo è ineluttabile. Per la nostra cantieristica c'è sì un futuro, ma a determinate condizioni, che non passano solo attraverso una razionalizzazione ma anche dalla nostra capacità di lavorare e di tramandare i mestieri. Altrimenti tra dieci anni non saremo più in grado di fare navi».
Ci ha messo in qualche modo il cuore Bono nei suoi interventi al convegno, ha citato Kennedy per spronare l'Italia a una competitività oggi indispensabile, per spingere la Liguria verso una nuova frontiera, per chiedere a chi lo critica di permettergli di fare il business di cui ha bisogno. Ed è stato ricambiato, con schiettezza, da tutti i presenti tra i quali Stefania Craxi, sottosegretario agli Esteri, Giovanni Berneschi, presidente Carige, Luigi Merlo, presidente dell'Autorità Portuale di Genova, Paolo Pirani, segretario nazionale Uil, e il sottosegretario ai Trasporti Bartolomeo Giachino.
Ora che la sponda sud del Mediterraneo è esplosa, sembra essersi diffusa la percezione che il tempo per la sopravvivenza economica di porti come quello di Genova sia ormai quasi scaduto, e che sia arrivato il momento delle scelte. «Nel 2009 guardavamo soprattutto al Far East.

Poi siamo sopravvissuti alla crisi solo perché le economie del Nord Africa hanno tenuto - è stata la lettura di Luigi Merlo - siamo provinciali, ci muoviamo per padrinaggio. Inviterei tutti a visitare il porto di Tangeri per rendersi conto che, contrariamente a quanto si pensa, siamo noi l'anello debole. Ed è l'ora di prendere delle decisioni».

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