Fine ingloriosa dei falsi gladiatori

Le tragedie di personaggi-simbolo del mondo del wrestling come Chris Benoit ed Eddie Guerrero (trovato misteriosamente morto a 38 anni il 13 novembre 2005 nella stanza di un hotel a Minneapolis) fanno da sfondo a un fenomeno sicuramente meno drammatico: la fine del wrestling come fenomeno - o addirittura - genere televisivo.
Sorto in Italia quando negli Stati Uniti era ormai uno show al tramonto, il wrestling ha registrato qualche anno fa indici d’ascolto di tutto rispetto riuscendo perfino ad animare ilari dibattiti sociologici sulla presunta pericolosità di questi combattimenti «dagli effetti nefasti sui bimbi». In realtà i bambini - prima di ogni altro - hanno compreso che quel «mare di violenza» non era altro che vapore acqueo pronto a svanire al primo soffio. Una grande recita con fondali, e attori, di cartapesta. È stato sufficiente che i più piccoli passassero dall’asilo all’elementare, per capire che era meglio mollare le figurine dei wrestler SmackDown e passare a quelle dei calciatori Panini. Non che i calciatori siano molto meglio, ma almeno col pallone siamo diventati Campioni del Mondo. Fatto sta che nell’ultimo anno i dati audience sui programmi dedicati al wrestling si sono dimezzati, relegando ancor più a ruolo di macchiette i telecronisti degli show televisivi. Ognuno col suo stile: c’è lo speaker che indossa felpe dai colori accessi e cerca di buttarla sul serio, descrivendo pugni e colpi taroccati come se fossero veri; c’è lo speaker che vuol fare il simpatico modello-Giallappa’s chiamando uaglio’ (ragazzi) pure i telespettatori di 80 anni. Oggi questo stesso telecronista è costretto a battere in ritirata, ripiegando sullo show emergente: il Texas Hold’em cioè l’elettrizzante poker giocato con due carte in mano e cinque a terra. Roba - nonostante i tanti bluff - molto più vera rispetto ai finti «strangolamenti» che un tempo mandavano in delirio frotte di ragazzini. Tanto che, sull’onda del successo, qualche furbastro pensò di mettere in piedi anche un bozzettistico wrestling all’italiana, con «atleti» del calibro di Capitan Padania (una via di mezzo tra Mastro Lindo e una camicia verde agli ordini dell’onorevole Borghezio) e Neo Pulcinella (che saliva sul ring «armato» di pizza, spaghetti e mandolino). Sempre nel nostro Paese ci fu pure chi pensò di aprire una «scuola per baby wrestler», scrivendo su un pieghevole pubblicitario che «il wrestling sarà lo sport del futuro» e che quindi «i bambini andrebbero avviati subito a questa disciplina dai grandi valori umani e agonistici».

Proprio così: «valori umani e agonistici». Ed è forse in nome di questi «valori» che ormai il wrestling televisivo è in bancarotta, le figurine restano invendute e la scuola per baby-wrestler è miseramente fallita. Senza rimpianti, per carità.

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