Fini a Berlusconi: "Sono pronti i miei gruppi" Schifani: "Se la maggioranza è divisa si vota"

Toni di rottura nel vertice tra i leader. Fini accusa governo e partito di andare a traino della Lega. Il gruppo autonomo potrebbe chiamarsi Pdl-Italia. Il Cav non cede al ricatto e tira avanti. I coordinatori del Pdl: "Atteggiamento incomprensibile". Gianfranco alza il tiro ma ha la pistola scarica

Fini a Berlusconi: "Sono pronti i miei gruppi" 
Schifani: "Se la maggioranza è divisa si vota"

Roma - Toni di rottura nel vertice tra il premier Silvio Berlusconi ed il presidente della Camera Gianfranco Fini. "Vorrei sentire risposte, non si può avere un partito a trazione leghista - avrebbe detto Fini - così, tra l’altro, si buttano nel cestino i temi tradizionali di 50 anni di destra". Dopo aver chiesto 48 ore di riflessione, Berlusconi avrebbe comunque invitato Fini a "riflettere bene" sulla decisione: "Se lo farai l’inevitabile conseguenza dovrebbe essere quella di dover lasciare la presidenza della Camera". Ma fonti della maggioranza smentiscono: "Berlusconi non ha mai invitato Fini a lasciare la presidenza della Camera". Intanto il presidente del senato, Renato Schifani, avverte: "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori".

La posizione di Fini "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perchè così hanno voluto gli italiani. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perchè ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito". Fini spiega che questo "presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell’intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise". Ora, ha continuato Fini, Berlusconi "ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni". Fonti della maggioranza fanno presente che "rischia di essere capovolta la situazione. Il presidente Berlusconi ed il popolo della libertà non debbono dare nessuna risposta a nessun quesito e a nessun problema e sottolineano che è il presidente Fini che si è riservato di dare una risposta la prossima settimana".

Il faccia a faccia Non sono bastate quasi due ore di faccia a faccia alla Camera per dissipare le tensioni. Berlusconi e Fini si sono lasciati con freddezza. Il colloquio è stato franco e interlocutorio. Qualcuno parla di "tregua armata", ma c’è chi dice che si sia addirittura sfiorata la rottura. "Come sempre capita in questi casi, la verità sta in mezzo", dice chi ha avuto modo di sentire il Cavaliere. Il numero uno di Montecitorio avrebbe consegnato un messaggio molto chiaro, che va ripetendo da tempo dopo le regionali: non ci si può appiattire sulla Lega, perché così si indebolisce il Pdl che deve rimanere forza trainante del centrodestra e non può farsi dettare l’agenda dal Carroccio. Una posizione subordinata nei confronti del Senatùr sarebbe un danno anche per lo stesso Berlusconi. A Fini non è andata giù la strategia portata avanti sulle riforme, quella scelta di tenerlo all’oscuro, di discutere della bozza prima con Renzo Bossi che con chi ha cofondato il Popolo della libertà. Uno sfogo che non ha risparmiato neanche un partito, il Pdl, che "non decide, non si struttura. E io non mi sento più rappresentato". Da qui l'idea di Fini di portare avanti "gruppi autonomi". Un’ipotesi è che il gruppo si chiami Pdl-Italia. Secondo fonti vicine all’ex leader di An, i deputati che ci starebbero sono circa 50, 18 quelli al Senato.

Il ruolo della Lega Anche oggi Bossi, proprio mentre era in corso il colloquio tra i cofondatori del Popolo della libertà, ha ribadito che il suo partito vuole contare nei salotti buoni della finanza nordista e rivendica a sè gli assessori all’agricoltura in Veneto e Piemonte, a maggior ragione dopo aver dato il via libera a Giancarlo Galan al ministero delle Politiche agricole. I finiani assicurano che non c’è da parte del presidente della Camera nessuna intenzione di forzare, ma la volontà di far valere fino in fondo le proprie ragioni per un maggior equilibrio interno. Nessuna delega in bianco a favore dell’asse Berlusconi-Bossi da parte di Fini che sarebbe pronto a costituire anche un gruppo autonomo.

Un margine per decidere Berlusconi, riferiscono fonti della maggioranza, si sarebbe preso 48 ore per riflettere. Quanto al nodo delle riforme, Fini avrebbe ribadito la sua preferenza per il modello presidenzialista francese a doppio turno elettorale. Le posizioni con il premier, quindi, resterebbero divergenti e si dovrà approfondire.  Intanto i cofondatori del Pdl non rilasciano dichiarazioni. Mentre il Cavaliere si limita a un "Ho mangiato benissimo", il presidente della Camera lascia i giornalisti a bocca asciutta con un "No coment".

Bocchino: escludo crisi di governo Ma il vicecapogruppo vicario del Pdl, Italo Bocchino, avverte: "I gruppi autonomi possono esserci nel caso dovessero arrivare risposte negative ai problemi che sono stati posti". "Escludo categoricamente che possa esserci una crisi di governo. Non è possibile che il co-fondatore e il co-leader del Pdl apprenda per ultimo di una bozza di riforma presentata in una cena tra canti e festeggiamenti per il figlio di Bossi e per Cota. Non è questo il metodo per costruire un grande partito".

Il monito di Schifani "Quando una maggioranza, eletta sulla base di un programma elettorale condiviso tra le coalizioni, si divide al proprio interno sull’attuazione del programma, non resta che ridare la parola agli elettori e ripresentarsi a questi con nuovi progetti ed eventualmente con nuove alleanze ove necessarie", ha detto Schifani. Il presidente del Senato ha spiegato che si tratta di "un concetto che già ho ribadito in epoca non sospetta", che ripete perché "leggo in queste ore della costituzione di eventuali gruppi diversi da quelli del Pdl". Immediata la replica di Bocchino: "Schifani sa bene che ai sensi della Costituzione si va alle elezioni anticipate soltanto in caso di assenza di una maggioranza e non quando emergono divisioni interne alla maggioranza". Bocchino ha, quindi, ribadito che "nessun parlamentare vicino a Fini farà mai mancare la fiducia al governo Berlusconi in base al mandato ricevuto dagli elettori".

Cicchitto: parole di Schifani da prendere sul serio "Le parole del presidente Schifani costituiscono un ammonimento che va preso sul serio, molto sul serio: mettono in evidenza i rischi insiti nella situazione, che non può essere affrontata con leggerezza o con motivazioni puramente tatticistiche o contrattualistiche e che poi, alla fine, può sfuggire di controllo". Lo afferma in una nota il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto.

Bocchino replica: "Arma spuntata" Il presidente del Senato Schifani sa bene che ai sensi della Costituzione attualmente vigente in Italia si va alle elezioni anticipate soltanto in caso di assenza di una maggioranza e non quando emergono divisioni interne alla maggioranza. Val la pena ribadire che nessun parlamentare vicino al Presidente Fini farà mai mancare la fiducia al governo Berlusconi in base al mandato ricevuto dagli elettori". Così il parlamentare finiano del Pdl replica alle parole del presidente del Senato Renato Schifani.  "La minaccia di elezioni anticipate é un'arma spuntata: mi meraviglia che tra una discussione democratica e il rompete le righe si scelga questa seconda soluzione"aggiunge poi nel corso della trasmissione Otto e mezzo su La7, a Fabrizio Cicchitto. Per Bocchino, "se Berlusconi ritiene di salire al Quirinale per dare le dimissioni dovrà poi spiegare il perché, e sarà difficile farlo". "La Lega non c'entra niente, è una questione politica tutta interna al Pdl che deve avere più protagonismo, quel protagonismo che oggi è sottostimato dal punto di vista programmatico", aggiunge Bocchino spiegando così le "divergenze" tra Berlusconi e Fini; e sottolinea che quello che il presidente della Camera chiede è una "discontinuità programmatica", che si articola in tre punti: riforme economico-sociali; politica per il Sud più incisiva; evitare la trazione leghista ("la Lega - ha rimarcato - ha un terzo dei voti del Pdl). Secondo il vicecapogruppo del Pdl alla Camera, il peccato originale di Berlusconi è stato quello di considerare il Pdl una sorta di "Fi allargata". Ha ribadito che se la risposta di Berlusconi "sarà positiva con una ricaduta organizzativa", la polemica rientrerà altrimenti nasceranno i gruppi parlamentari autonomi legati a Fini. Resta un "punto fermo", ossia che non "verranno mai meno i voti al programma del governo Berlusconi". Certo, "un fallimento del Pdl sarebbe una grave sconfitta, e se dovessero nascere i gruppi autonomi sarebbe una sconfitta. Mi auguro che Berlusconi non voglia disperdere questo patrimonio del Pdl".

 

Tutti gli uomini del presidente L’eventuale costituzione di gruppi parlamentari "finiani" (ufficialmente occorrono 20 deputati a Montecitorio e 10 senatori a Palazzo Madama) potrebbe sconvolgere la mappa politica e dare un volto completamente nuovo alla maggioranza, se non addirittura metterla in affanno numerico. Gli ex di Alleanza nazionale presenti nel gruppo del Popolo della libertà alla Camera (270 deputati) sono una novantina e tra questi i cosiddetti finiani "doc" sarebbero una trentina. Al Senato su 47 senatori ex An (il gruppo Pdl è composto di 144) i finiani sarebbero 10-12. Attualmente alla Camera la maggioranza di centrodestra può contare su 270 voti Pdl, 60 della Lega, 2 repubblicani e popolari del gruppo misto e 9 tra Mpa rimasti fedeli a Lombardo ed "ex", vicini al sottosegretario agli Esteri, Enzo Scotti. Al Senato il gruppo Pdl è di 144 unità e i leghisti sono 26, più alcuni senatori Mpa o "ex".

In realtà perciò basterebbero una trentina di deputati e meno di 15 senatori per mettere in seria difficoltà il governo, a cominciare dal prossimo esame di provvedimenti importanti come la giustizia o le eventuali riforme.

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