Fini sapeva tutto sull'inchiesta della procura A dicembre già diceva: "Berlusconi nei guai"

A dicembre i finiani invitavano il Pdl a non votare la fiducia al Cav minacciando: "Cadrà sul caso Ruby". Eppure un mese prima per i giudici la vicenda era chiusa garantendo che il premier non c'entrava. Ma il leader Fli insisteva. D'altra parte, Fini ha sempre cercato di avere un filo diretto con la magistratura

Fini sapeva tutto sull'inchiesta della procura 
A dicembre già diceva: "Berlusconi nei guai"

Roma - Ambienti pidiellini, a garanzia del più rigoroso anonimato, confermano: «Sì, le truppe finiane hanno sempre fatto proselitismo tra i nostri scontenti, cavalcando il bunga bunga». Se poi il pidiellino deluso era pure cattolico beh... il finiano ci andava a nozze: «Ma chi te lo fa fare di rimanere dove stai? Non ti accorgi che il Titanic sta affondando? Il Cavaliere è bollito e pensa solo alle sottane: verrà disarcionato dall’inchiesta su Ruby Rubacuori, scommettiamo?». Un refrain azionato appena Repubblica manda in tipografia la prima lenzuolata sulla ragazza marocchina e le sue serate ad Arcore, il 28 ottobre scorso. Berlusconi quel giorno vola ad Acerra a parlare di immondizia e, di fronte alla maggioranza dei cronisti assetati di sangue berlusconiano, liquida il tutto con un «Sono qui per occuparmi di rifiuti e non di spazzatura mediatica».

La tentazione di cavalcare il caso, nella speranza che il premier rimanga mortalmente schiacciato sotto il peso dell’ultimo materasso spiattellato sui giornali, negli ambienti del Fli è forte. Due giorni dopo, 31 ottobre, Fini è intervistato al cinema Adriano di Roma dal direttore del Messaggero Roberto Napoletano. A tratti si spazientisce perché il giornalista non gli fa l’assist giusto per fare gol. Vorrebbe affondare il colpo, Fini. Vorrebbe chiedere le dimissioni del presidente del Consiglio lì, le orecchie della sala in fondo non aspettano altro. Però tergiversa, dice e non dice e alla fine quella richiesta del passo indietro resta impigliata tra i denti. Lo farà più tardi, il 7 novembre, nel catino ben più incandescente di Bastia Umbra e con ben altri riflettori. Lì dice che Berlusconi è un bugiardo; che il governo non fa nulla; che il Pdl è finito; che, soprattutto, la condotta di Berlusconi è moralmente inaccettabile. È l’affondo finale.

Eppure appena cinque giorni prima il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati sembra sgonfiare l’intera indagine su Ruby: «Procedure di identificazione, fotosegnalazione e affidamento sono state correttamente eseguite e non sono previsti ulteriori accertamenti sul punto», dice il 2 novembre. Due giorni dopo, sempre il magistrato, annuncia: «Tutto quello che è iscritto nel registro degli indagati non può essere comunicato. Per ragioni istituzionali, però, continuo a dire che Berlusconi non è iscritto nel registro degli indagati». E ancora: «Non abbiamo né video né foto all’esame i questa procura». Il 10 novembre: «Non ho nulla da aggiungere a quanto già detto nei giorni scorsi. Per me la vicenda era già chiusa allora». Pare tutto finito in una bolla di sapone ma i finiani continuano il pressing nei confronti degli ex alleati pidiellini: «Vedrete, Berlusconi cadrà sotto i colpi della magistratura di Milano. Inutile salvarlo ora». Siamo alla vigilia del voto sulla mozione di sfiducia al governo dello scorso 14 dicembre.

Come facevano a sapere che la procura meneghina stava cucinando per il premier un’altra polpetta avvelenata? Soltanto una smisurata speranza o qualcosa di più? Stranamente Fini, che ne gli ultimi tempi non ne ha azzeccata una, specie nei calcoli di quanti tra i suoi avrebbero sparato sul governo, questa volta fa centro. Colpo di fortuna o qualcosa di più? Di fatto il Fli, prima che si piazzasse all’opposizione (12 dicembre), prima di Bastia Umbra (7 novembre), prima di Mirabello (5 settembre), ha sempre cercato di mantenere ottimi rapporti con le toghe. Basti citare il tour delle procure italiane, partito a fine agosto dalla truppa composta da Italo Bocchino, Fabio Granata, Nino Lo Presti, Angela Napoli. La mission ufficiale: «Raccogliere indicazioni per una riforma della giustizia che tenga conto delle vere emergenze e delle vere priorità della magistratura». Cortesia ricambiata con la cautela con la quale i giudici hanno trattato l’affaire Fini.

Nel regno delle procure colabrodo, infatti, si scopre che il presidente della Camera è indagato a Roma per truffa aggravata in merito all’appartamento monegasco occupato dal cognato Giancarlo Tulliani, soltanto il 26

ottobre. Lo stesso giorno in cui i magistrati decidono per l’archiviazione. Il segreto istruttorio in questo caso funziona a meraviglia. Ma, parafrasando il marchese del Grillo, Fini è Fini e gli altri non sono un c...

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