Per una volta, la zona Juve diventa minata per la nuova Juve operaia, in verità abilissima nello sfruttare una delle rare occasioni per saltare in groppa alla sfida, un po’ meno, anzi molto meno, nel mettere in cassaforte il risultato e ridurre alla ragione la rabbiosa e poco lucida reazione viola. In proposito un paio di contropiedi, promossi nella seconda frazione, dall’instancabile Iaquinta, consentono prima a Trezeguet e poi allo stesso Sali di mettere il timbro alla domenica juventina: nel primo caso Frey ribatte coi piedi al connazionale, nel secondo il laterale proveniente (immaginiamo senza rimorsi) dal Bayern non ha la mira felice e neanche la decisione tipica degli eversori. Perciò dalle parti di Cobolli Gigli e del popolo bianconero assente a Firenze (un solo tifoso juventino riconosciuto in curva e messo alla berlina da tutto lo stadio, «c’è un gobbo laggiù»), alla fine brucia quel pareggio che è una grande occasione perduta e un colpo secco all’autostima del gruppo. Capita nel lungo cammino di un campionato, lungo e complicato come quello italiano. Capita e soprattutto non è uno scandalo nella sua ridefinizione numerica.
Molti episodi, lungo tutto il pomeriggio, lasciano l’amaro in bocca ai patiti della Fiorentina. Per esempio il gol di Iaquinta che è una delizia per come piazza la palla in fondo alla buca mentre Trezeguet «impalla», con la sua posizione di fuorigioco palese, Frey. Per esempio le ganasce di un paio di difensori juventini applicate a Semioli lungo la linea del fondo, in area, che giustificherebbero l’applicazione del massimo castigo, il rigore insomma. Per esempio la tolleranza 100 nei confronti di taluni interventi, su entrambi i fronti, (Mutu su Palladino è da espulsione diretta) degni di maggiore severità da parte dell’arbitro bolognese, ieri pomeriggio visionato personalmente dal super designatore Collina.
Giustizia fatta, allora. Con qualche rimpianto della Juve, unica ad aver vissuto una tranquilla settimana di preparazione. Qui invece che giovare, pare una zavorra. Lo schieramento deciso in partenza da Ranieri, il più saggio 4-4-2, di fatto toglie ai suoi quel pizzico di sana follia che tenne la Roma sulle spine, alcune settimane prima.
Ma il tecnico romano ha una giustificazione indiscutibile: quel Del Piero, con le gomme sgonfie, lanciato nel finale per scoprire la stanchezza della Fiorentina è una pistola-giocattolo con in canna un turacciolo di sughero. Spara sempre a salve, come in occasione di uno scatto su Dainelli, non certo un velocista, che lo rincorre e lo rimonta. Prandelli e i suoi, invece di fare baruffa a bocce ferme (tra Chiellini e Vieri scintille), devono ringraziare Sali e l’insano gesto. La Fiorentina appare infatti provata dal giovedì di coppa, quasi subito, va sotto a metà della prima frazione senza mai trovare il bandolo della matassa. Soffre la compostezza geometrica di Almiron e Nocerino ma anche l’ottimo assetto di una difesa improvvisata ma a tenuta stagna (Legrottaglie non sbaglia un intervento, Chiellini in affanno arriva sempre prima dei rivali). Discutibile la mossa all’intervallo (attacco a quattro punte, con Vieri aggiunto a Pazzini sul centro, Semioli e Mutu ai lati). Più razionale lo schieramento finale (via Pazzini, dentro Gobbi). Il calcio non è una scienza esatta ma nemmeno un videogioco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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