Tiro al contribuente o, se preferite, fisco al bersaglio. Scegliete voi, non fa differenza. Questa è l'idea delle tassazioni che ha Vincenzo Visco, l'ahinoi vice ministro dell'Economia che si occupa di entrate. Di tagli non se ne parla o non se ne parla come si dovrebbe e, soprattutto, come ripetutamente avevano promesso Prodi e Padoa-Schioppa. Il rigore, prima di tutto, sono andati ripetendo in una specie di vera e propria litania. Non disgiunto, ovviamente, dall'equità. Di tutto questo, nel nostro piccolo, non vediamo traccia. Chi c'è nel bersaglio? Ci sono quelli che Visco non considera amici dell'economia nazionale. Chi sono questi signori che Visco non ama? I ricchi anzitutto. Per definizione. Specificamente i lavoratori autonomi, quei lavoratori che, lavorando appunto, rischiando in proprio, investendo, hanno commesso il peccato di guadagnare più di 70.000 euro l'anno (lordi, s'intende). Per chi guadagna fino a questa cifra tasse al 39 per cento 6 punti in più. Per chi guadagna di più di questo 45 per cento; prima era il 43 per cento e da 100.000 euro in su. Chi è che guadagna questi soldi? Straricchi? Ma neanche per sogno. Sono persone, lavoratori (anche se per Visco i lavoratori in senso pieno sono solo quelli del manifatturiero), che guadagnano, puliti, 35.000 euro diviso dodici, cioè attorno ai 2.900 euro al mese. Una bella cifretta ma perché debbono essere castigati proprio loro? Perché non sono quelli che hanno votato per Visco e compagni. Molti di questi appartengono al famoso e sempre più nel mirino ceto medio. Sono quelli che appartengono a quel 95 per cento dell'economia italiana fatta di piccolissime, piccole e medie imprese, contro il 5 per cento fatto dalle grandi e spesso scassate imprese. Sono quelli che appartengono a quei due terzi della forza lavoro italiana che non hanno tutte le tutele e le attenzioni sindacali che hanno quel terzo della forza lavoro dei dipendenti a tempo indeterminato del pubblico e del privato di aziende superiori a quindici addetti. Sono quei lavoratori autonomi che, come ha ricordato giustamente Oscar Giannino, pagano un'aliquota contributiva inferiore agli altri anche perché non hanno tutele come gli altri e che Visco vuole punire aumentando loro le tasse da pagare. Sono, infine quelli che non hanno votato per Visco e compagni e che abitano e lavorano nelle regioni più avanzate d'Italia: la Lombardia e il Veneto e che, come hanno scritto vari dirigenti lombardi dei Ds, ieri, sul Riformista, dopo questa finanziaria non li voteranno più. Volesse il cielo. Ci sarà un motivo per il quale chi conosce questa base produttiva e di consumatori, pur di centrosinistra, lancia un allarme.
Il nostro beneamato vice ministro dell'Economia - si sa da tempo - non crede all'importanza della cosiddetta domanda, cioè al contributo che può dare alla ripresa dell'economia l'aumento dei consumi. E, coerentemente, tassa chi potrebbe consumare di più e investire nei settori tipici del consumo: il commercio, l'artigianato, i servizi, i piccoli agricoltori. Lo ripetiamo: le piccolissime e piccole imprese e i loro titolari che sono anche consumatori. Gente che fa circolare i soldi.
D'altra parte, e con molta coerenza scientifica, Prodi e Visco (Padoa-Schioppa la pensa diversamente ma non sappiamo quanto riuscirà ad incidere) sono molto interessati a quel 5 per cento di imprese grosse (Telecom è tra quelle) e a quel terzo della forza lavoro che gli dà il consenso della Cgil e degli altri sindacati. Quello è il loro core business, direbbero i manager d'impresa.
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