«Flessibilità? In Bmw hanno detto sì»

Parla Baumann, capo delle risorse umane: «Contro l’alto costo del lavoro è l’unico rimedio e i sindacati lo hanno capito»

Enrico Artifoni

da Milano

Nell’industria dell’auto, Bmw è una delle aziende con il costo del lavoro più elevato (in media 73.500 euro per occupato nel 2004), ma ciò non le impedisce di macinare utili di rilievo (3,2 miliardi lo scorso anno, con un margine operativo del 7%). Come si concilia la redditività d’impresa con la soddisfazione anche economica dei dipendenti? Lo abbiamo chiesto a Ernst Baumann, 57 anni, responsabile delle risorse umane e membro del board di Bmw Group, nei giorni scorsi in visita alla filiale italiana di San Donato Milanese.
«Il principio da cui partiamo - osserva Baumann - è che nessuno può avere successo se lavora contro gli interessi dei suoi associati. E non lo diciamo tanto per dirlo. Alle parole facciamo seguire i fatti».
Prevedete, cioè, dei benefit ai dipendenti?
«Distribuiamo un bonus la cui entità è proporzionale alla performance dell’azienda. Questo dà grandi motivazioni a chi lavora in Bmw. Lo scorso anno, per esempio, il personale ha ricevuto una cifra superiore al 150% di un salario mensile. Il principio è stato trasferito anche fuori dalla Germania: nella filiale italiana, per esempio. Ma il nostro impegno non è solo di tipo economico».
Cos’altro fate?
«Non smettiamo mai di investire nella crescita dei nostri uomini. Ogni anno spendiamo in attività formative oltre 200 milioni. E poi ogni due anni, tramite indagini interne, verifichiamo il livello di soddisfazione e chiediamo suggerimenti che, se ritenuti validi, vengono messi in atto».
I rapporti di Bmw con i sindacati, da una parte, e il governo dall’altra...
«In Germania, dove abbiamo la gran parte delle fabbriche e dei dipendenti, i rapporti sono su base locale, sia con i sindacati sia con i governi delle singole regioni. Noi cerchiamo di collaborare con tutti. L’importante è che il principio sia chiaro: diamo per quello che ci viene dato, con un equo compromesso».
Ma è accettato dal sindacato il principio della flessibilità?
«C’è stata una lunga lotta, poi i sindacati hanno capito che non si può fare diversamente in un Paese dove il costo del lavoro è alto. Il passo decisivo è che siamo riusciti a separare la gestione degli orari di lavoro da quelli di funzionamento della fabbrica. Per esempio, già alla fine degli anni ’80 abbiamo introdotto il sabato lavorativo a Regensburg. E nella stessa fabbrica ci sono operai che lavorano 9 ore al giorno per 4 giorni alla settimana».
Sicuri di potervelo permettere?
«Sì, nel momento in cui possiamo variare la produzione a seconda della domanda e delle esigenze organizzative. Può succedere, quindi, che in certi periodi i dipendenti lavorino più del normale: in tal caso accumulano un bonus di ore che poi recuperano in seguito. Ma può succedere anche il contrario. E la paga rimane stabile. Con il tempo abbiamo messo a punto più di 200 modelli differenti di gestione dei tempi di lavoro».
In Germania si guadagna molto più che in Italia. Prevede un livellamento in futuro?
«Non nel breve.

In Germania si è preteso di portare rapidamente i nuovi länder dell’Est ai livelli salariali del resto del Paese. Ci sono due cose, comunque, a cui si dovrebbe pensare di più in tutta Europa: puntare sulla formazione, altrimenti i nostri figli e nipoti pagheranno lo scotto, ed essere più ottimisti».

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