Acqua, fuochino, fuoco, è caccia al luogo adatto a ospitare il reattore nucleare. E mentre in consiglio regionale scoppia il caso della centrale, gli occhi sono puntati sulle cartine della Lombardia e su un dossier del ministero dello Sviluppo. Paolo Romani ha addirittura parlato di «una, forse due centrali nucleari in Lombardia». Il presidente della Regione, Roberto Formigoni, non chiude la partita ma è comprensibilmente cauto: «La Lombardia ha praticamente raggiunto l’autosufficienza energetica, quindi in questo momento non c’è bisogno di centrali di nessun tipo». I suoi lo dipingono infastidito dall’uscita di Romani, un controtempo che qualcuno ipotizza sia pensato per metterlo in difficoltà.
In pole position l’area tra le province di Cremona e Mantova, lungo l’asta del Po. Il cospicuo bacino del fiume è ideale per il raffreddamento e la preesistente centrale termoelettrica di San Benedetto Po attira lo sguardo in quella direzione, così come si torna a parlare di Viadana. Le indiscrezioni si rincorrono e si associano ai fatti, come l’invito arrivato appena pochi giorni dalla prefettura di Cremona al Comune di Casalmaggiore perché nomini un proprio rappresentante nella costituenda commissione che si occuperà del trasporto di materiale radioattivo e combustibili fissili. Notizia più che sufficiente a scatenare curiosità e preoccupazione, perché un conto è parlare di energia nucleare, altro è ritrovarsi una centrale sotto casa.
Il Po ma non solo. In passato si è discusso di altre possibili localizzazioni in Lombardia, nonostante non manchi chi fa notare che la regione è anche all’avanguardia sul fronte delle energie rinnovabili, le più moderne “avversarie” del nucleare: su ottantamila addetti italiani, ventimila sono lombardi. Tra gli altri luoghi di cui si discute il Bresciano e la provincia di Como. Qualche tentativo atomico è stato già fatto a Caorso, in Emilia ma ai confini della Lombardia, in passato sede della più grande centrale italiana. Reattori nucleari a uso scientifico sono stati attivi a Ispra, in provincia di Varese, e anche a Pavia e a Legnano.
A sgombrare il campo dalla possibilità che sia l’Alto Milanese a ospitare la centrale è il presidente della Provincia, Guido Podestà, che però rilancia Legnano come possibile incubatore della ricerca sul nucleare e della produzione di componenti per le centrali nucleare. Una sorta di «Silicon Valley dell’energia tricolore» perché «qui operano diverse aziende d’eccellenza nella realizzazione di parti per le centrali tradizionali, idrogeotermiche e da fonti rinnovabili».
Il dibattito politico è acceso. «L’argomento deve passare dal consiglio regionale. È tra le mie competenze convocare sedute a tema» insiste il leghista Davide Boni, che del consiglio è presidente e che intende affrontare la questione a breve. Il rischio - neanche troppo velato visto ciò che è già successo con l’Expo - è che l’aula del Pirellone voti un documento trasversale che si discosta dalla posizione ufficiale della maggioranza.
A chiedere la convocazione dell’aula è l’opposizione, per bocca del vicepresidente, Filippo Penati: «Chiedo che il consiglio possa esprimersi al più presto sull’argomento, impegnando Formigoni e la giunta a contrastare questa eventualità». Qualche malumore anche nell’area degli ex An.
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