"Il" Fornero, la vera donna del governo

Pretende l’articolo maschile, ma tra sceneggiate e vanità tradisce l’anima femminile

"Il" Fornero, la vera donna del governo

Il Monti ha nel suo governo una lunga lista di carneadi che lo zero virgola degli italiani saprebbe riconoscere. Forse il Passera (in questo caso l’articolo aiuta), ma solo per via dei suoi trascorsi da iper-banchiere. Non c’è gara: dopo il premier, l’indiscussa signora della popolarità è la Fornero. Purtroppo, da mesi ormai il Paese si dibatte in questa stucchevolissima questione, da lei stessa sollevata, dell’articolo femminile davanti al cognome: vuole essere chiamata Fornero, senza «la», con la chiara intenzione di imporsi come fosse il Fornero. Così, dopo Schettino, con lo spread in forte calo anche da tormentone, il vero dibattito nazionale ruota tutto attorno a questa particella minima, «la», leggera come una nota musicale, ma pesante come tutti i falsi problemi che soltanto noi sappiamo inventarci.
La ministra, o il ministro, o la ministro Fornero - diamine, se anche lei andasse via un po’ più liscia, tipo la Prestigiacomo e la Turco - insomma questa titolare del lavoro ne fa una questione di principio, battendosi come le suffragette francesi d’inizio Novecento per ottenere il diritto al rispetto e alla considerazione. Non accetta di passare per la Fornero, perché non accetta di essere retrocessa a femmina. E pazienza se nessuno, escluso forse qualche rintronato misogino sopravvissuto a tutti i progressi umani, attribuisce a quell’articolo un valore diminutivo, tanto meno sprezzante: lei ha questa fissa, e tutti quanti attorno ne stanno facendo una questione seria.
Sinceramente, si fa prima a discutere sul sesso degli angeli. Quello della Fornero, anche se lei per decreto abolisce l’articolo femminile - tanto bello, tra l’altro - è chiarissimo sin dal primo giorno, e lo diventa sempre di più col passare dei giorni. Fornero pretenderà d’essere rispettata come un maschio, ma è il ministro più femmina che si sia mai visto. Quando s’è trattato di piangere in diretta sulla crudeltà della manovra, fu molto «la». Ma vogliamo dire che le lacrime non sono più esclusiva femminile, perché ormai fanno parte persino del nuovo machismo tutto muscoli e dolcezza? Diciamolo. Il ministro Fornero rimane comunque inconfondibilmente la Fornero per il suo iperattivismo competitivo, che le donne in carriera - nonostante detestino il solo sentirselo dire - trasudano da tutti i tailleur. Ci sono suoi colleghi mai visti una sola volta al tiggì, questa sbuca in tutte le edizioni e su tutte le reti, una volta per dire che l’articolo 18 non è un tabù, un’altra per dire che non intendeva sollevare polveroni sull’articolo 18, che parlava così per dire, per ipotesi, e poi in fondo lei non è una politica di professione, non ha ancora preso le misure con le liturgie del confronto sindacale. Parte decisa, annaspa, si confonde, fa retromarcia, va in panico. Decisamente «la». Quando il suo vice Martone dà degli sfigati ai lenoni fuoricorso, lo riprende come una zia infilzata: la signora ha il gusto della matita rossa e della bacchettata. E parla molto, parla ovunque, parla sempre: tv, giornali, convegni. È sovresposta e sovradosata, chiaro segno di vanità, di quella vanità sabauda che si traveste con il garbo e la falsa modestia, restando comunque vanità. E la vanità, per quanto lentamente stia diventando transessuale, è ancora femmina.

Eppure non sopporta d’essere chiamata la Fornero: ma persino questo, tenerla così lunga per una sfumatura formale, è un vezzo molto molto femminile. Allora faccia la brava, signor ministro. La faccia finita con questa battaglia. Come dice il Monti, nel programma di governo non ci devono essere tabù: né l’articolo «18», né l’articolo «la».

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