«Come ti descriveresti come artista? Molto organizzato? Molto spontaneo?». «Io come artista? Sono solo una prostituta musicale, mio caro». Questa risposta la dette Freddie Mercury a Rudi Dolezal a Monaco, nel 1985, e è passata alla storia come la «prostitute interview». Ma non solo. Rudi Dolezal era allora un giovane regista di video musicali austriaco, ma con Freddie scattò un legame speciale.
È la storia che il regista racconta nel suo libro appena uscito in Italia e pubblicato da Sperling & Kupfer, Il mio amico Freddie, e che inizia proprio da quell'intervista registrata a Monaco, nel 1985: se ci pensate proprio quando si chiude il tanto celebrato film Bohemian Rhapsody, che di Freddie non coglie niente, rappresentandolo come un personaggio egocentrico, ombroso, arrogante, tutto il contrario. «Sul palco era un frontman energico e carismatico, capace di tenere in pugno decine di migliaia di spettatori: sembrava un gigante di tre metri. Quando scendeva, però, tornava a essere un piccolo uomo di un metro e settantacinque, delicato, fragile e timido». Tralasciando, tra l'altro, nel tanto celebrato film, tutto ciò che ha realizzato Freddie dopo il 1985, coronando ciò che ha sempre detto: «non voglio essere una rockstar, diventerò una leggenda».
Ecco, Dolezal ha realizzato con Freddie ben diciotto video, ma lo ha anche frequentato in privato, credo unico eterosessuale della cerchia di amici intimi di Freddie (a parte Peter «Phoebe» Freestone, l'assistente personale). Il libro è pieno di aneddoti mai rivelati: la realizzazione del video di One vision, di Breakthru, di Scandal, di Living on my own. Quest'ultimo girato per il trentottesimo compleanno di Freddie, a Monaco, con una festa all'Old Mrs. Henderson nella quale dovevano essere tutti travestiti in bianco e nero. Freddie e Rudi stravolsero anche i colori del locale, per renderlo intonato all'evento, ma il proprietario poi decise di ripristinarlo com'era, definito da Rudi «l'impresario più stupido del mondo» (in effetti oggi sarebbe un'attrazione turistica per i fan). In un'altra festa, dopo un concerto a Vienna, Freddie pensò di offrire a tutti i tecnici, gli autisti e membri dello staff molti alcolici, e incaricò Rudi di trovare venti prostitute.
Rudi in sei anni ha realizzato ogni video, si rese disponibile in ogni occasione, venendo via dal Kenya anche quando era in vacanza con la moglie, nel 1991, perché arrivò un fax dalla leggenda: «Caro Rudi, voglio che torni a Londra immediatamente. Ho una nuova idea per il nostro video. Sono entusiasta. Per favore vediamoci a Londra domani. Freddie». Freddie era malato, l'AIDS lo aveva scarnificato, e i Queen avevano pensato di realizzare il video di I'm going slightly mad usando un robot al posto di Freddie: la Disney, proprietaria della Hollywood Records, con la quale la band aveva siglato un accordo stratosferico, avrebbe pagato tutte le spese.
Ma Freddie, l'incontenibile Freddie, pur in fin di vita, ci ripensò: Rudi tornò a Londra e ne venne fuori un vero e proprio capolavoro. C'era davvero Elton John nel costume da gorilla che si vede nel video? Non spoilero. Forse c'era David Bowie si dice. Oppure? Negli ultimi tempi Rudi aveva paura di essere baciato anche sulla guancia, all'epoca si sapeva poco di come si trasmettesse l'Hiv, ma in uno degli ultimi incontri fu Freddie a evitare di farlo. In compenso lo baciò Rudi, d'istinto. Grande Freddie, grande Rudi.
Momenti comici, tra i tanti: nel video di The invisible man ciak si gira ma Freddie non si trovava più. Rudi lo trovò carponi nel camerino, e si inginocchiò anche lui, per aiutarlo a recuperare una bustina di cocaina finita sotto un mobile. Non fate i moralisti al riguardo, nel libro di alcol e cocaina ce n'è tanta, ma pensate al consumo che ne fanno centinaia di milioni di persone senza essere Freddie Mercury.
C'è un Freddie intimo che si confessa a Rudi perché non trova l'amore, il vero amore. «Sai, Rudi, uno come me spesso si chiede: chi mi ama davvero? In quanto gay non posso avere un figlio che mi ami davvero. E come faccio a sapere se il mio compagno ama me, la persona, e non la superstar Freddie Mercury?». C'è un Freddie che gira l'ultimo video in assoluto dei Queen, consapevole sarebbe stato l'ultimo, aveva ormai pochi mesi di vita. Mi riferisco a These are the days of our life. Gli accordi con Rudi erano chiari: solo un take per scena, Freddie era troppo stanco. Ma l'ultima scena fu lo stesso Freddie a chiedere a Rudi di girarla di nuovo. Rudi eseguì, ma capì la ragione solo in seguito, durante il montaggio. Nella ripresa girata di nuovo Freddie canta l'ultima strofa, sorride verso la telecamera, e esce di scena, lasciando solo lo sfondo nero. L'ultima uscita di scena di una leggenda. Da brividi.
Quando ho letto questo libro stavo scrivendo il mio ultimo romanzo, Volevo essere Freddie Mercury (La Nave di Teseo), e contattai Rudi per renderlo un personaggio della mia opera, e nel frattempo lo misi in contatto con il mio agente Piergiorgio Nicolazzini per l'edizione italiana del suo libro. Sperling lo comprò subito. Ero solo perplesso sulla parte dedicata a Mary Austin, l'ex fidanzata di Freddie che ha ereditato quasi tutto il suo patrimonio: ne ho sempre pensato e scritto male, siccome alla morte di Freddie cacciò tutti di casa, incluso il compagno di Freddie, Jim. Invece Rudi nel libro non si sbilancia.
Tuttavia due mesi fa Mary ha venduto tutti gli oggetti di Freddie all'asta, svuotando la mitica Garden Lodge. Così ho chiamato Rudi e gli ho detto: «Rudi, she's a fucking cunt».
Rudi, il sensibile Rudi, il cui motto è Love & Respect (è una frase che inserisce alla fine di ogni messaggio), è stato zitto qualche secondo e poi ha esalato uno sconsolato, rassegnato: «I am obliged to agree with you, my dear».
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