Freddy Mercury, la voce immortale del rock

Per i vent'anni dalla morte del leader dei Queen, esce per i tipi di Odoya la traduzione della biografia più autorevole del celebre frontman raccontato da chi lo conobbe da vicino come la madre e Mary Austin, la donna alla quale restò sempre legato

Farroukh Bulsara era ed è un illustre sconosciuto. Eppure tutto il mondo lo ricorda. Ne canta le canzoni. Ne ha comprato i cd. E lo riconoscerebbe tra mille. Perché lui, Farroukh Bulsara, altri non è se non Freddy Mercury, il leader dei Queen e uno dei frontman più famosi di tutti i tempi. E tra i più rimpianti fra i miti del rock. Un addio consumatosi in una triste sera del 24 novembre di vent'anni fa, all'indomani dall'annuncio ufficiale al mondo dei fan della sua malattia, da tempo allora uscita dagli spifferi gossip, ma mai confermata da lui, se non appunto la sera prima di morire. La causa del decesso fu attribuita alla polmonite, ma si trattava di un secondarismo legato all'Aids conclamato, contratto per la sua omosessualità.
Oggi, a due decenni di distanza, lo ricorda la pubblicazione in italiano del libro più famoso su Freddy Mercury, una biografia scritta da Laura Jackson, scrittrice britannica che si è occupata anche di altre voci celebri. «Freddy Mercury - Chi vuol vivere per sempre» (Odoya, pp.336, euro 20) è certamente il testo più autorevole per chi vuol conoscere da vicino il leader dei Queen in quanto è l'unico che si avvale delle testimonianze della madre del cantante e di Mary Austin, la donna alla quale fu sentimentalmente legato e che egli non abbandonò nemmeno dopo aver scoperto la propria tendenza gay. Di lei, egli stesso ebbe a spiegare con spontanea chiarezza: «Tutti i miei amanti mi chiedono perche' non possono sostituire Mary, ma questo è semplicemente impossibile. Lei è la mia unica amica e non desidero nessun altro. Per me è come se fosse mia moglie. Per me è come un matrimonio».
Di credo zoroastriano, nato a Zanzibar da famiglia indiana di etnia parsi, i genitori di Freddy Mercury si erano spostati nell'isola africana per motivi di lavoro del padre, cassiere alla segreteria di Stato per le colonie. La famiglia vi rimase fino al 1964 quando scoppiò la rivoluzione che avrebbe portato alla formazione del nuovo stato della Tanzania. Mercury si trasferì allora a Londra dove completò gli studi e cominciò a muovere i primi passi nel mondo della musica che infinite soddisfazioni gli avrebbe riservato. Gli inizi tuttavia si rivelarono faticosi. Il suo talento provocò spaccature e litigi nei gruppi che lo adottarono come vocalist e che dovettero sentirsi ridimensionati davanti a quell'immenso talento musicale. E, proprio in quelle iniziali peregrinazioni tra i complessi londinesi dell'epoca, conobbe Brian May e Roger Taylor. Strada facendo i loro passi si sarebbero incrociati anche con John Deacon, quarto componente del gruppo che avrebbe scritto la storia del rock.
Nondimeno, l'anima del complesso rimase sempre Farroukh Bulsara in arte Freddy Mercury. A lui si devono alcune delle canzoni più celebri come «Bohemian rapsody», «Somebody to love», «We are the champions», «Don't stop me now» che insieme ad altri motivi rappresentano tuttora il bagaglio musicale della seconda metà degli anni Settanta fino a metà degli anni Ottanta. Fu sempre Mercury a disegnare il logo dei Queen che comprende i simboli dei segni zodiacali dei componenti: leone per Taylor e Deacon, cancro per May, vergine per lui. Freddy Mercury. Che inventò anche il nome del gruppo. E lo spiegò: «È solo un nome, ma è molto regale e sembra splendido. È un nome forte, molto universale e immediato. Ero consapevole delle connotazioni gay, ma era solo uno dei suoi aspetti».
Lui. Mercury. Queen. Lui che terminava i concerti lanciando le rose al pubblico e brindando con champagne insieme ai fan, mentre risuonavano le note dell'inno inglese «God save the queen». E Freddy indossava la corona. Lui che alla fine degli anni Settanta aveva scelto che la trasgressione più forte fosse quella di non colpire con un pugno nello stomaco chi assisteva, ma di sedurlo. Con l'educazione e le buone maniere. Il contrario di tanti Frank Zappa. Alice Cooper. Rod Stewart.

Il contrario di tutti i divi che avevano fatto del gesto eclatante e aggressivo il loro marchio di riconoscimento. Oggi, a vent'anni di distanza, lo ricordiamo ancora così. Capelli corti e baffetti. Ultimo gesto d'impatto. Raffinato ed educato. Il taglio della zazzera. Come le checche dell'epoca.

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