«Razzismo, crisi, la mafia: in Calabria c’è tutto, non so dire cosa abbia fatto bum, cosa abbia appiccato la miccia come dite voi. Vedi le mie mani? Le ho ridotte così anche per 15 euro al giorno pur di poter tirare avanti. E poi...Sai, basta, finito..Trattato sempre male».
Ore 13.40, binario 12, stazione Centrale. Yaya Marah, 31 anni, gambese, scende dal treno su cui è salito più di tredici ore prima a Lamezia Terme, ma scandisce le parole con l’energia e l’italiano quasi perfetto di chi non può permettersi il «lusso» di essere frainteso. Porta due valigioni neri, trolley che preferisce caricare sulle spalle da gigante piuttosto che trascinarli. I palmi delle sue mani hanno solchi profondi e rossi, sembrano quelle del reduce di una terribile arrampicata con la fune e non di un raccoglitore di frutta o «fruttivendolo» come si definisce lui.
«Sono arrivato a San Ferdinando, alle porte di Rosarno, 4 anni fa e sono stato anche 43 giorni senza lavorare, ma i segnacci non se ne vanno. Adesso vado a casa di mio cugino Joseph, abita vicino a Pero, fa l’operaio, mi ha promesso che riuscirà a trovare un lavoro anche per me, qui dice che è più facile. - spiega mostrando un foglietto con un indirizzo scritto frettolosamente a penna -. Altrimenti, senza una prospettiva, me ne sarei rimasto in Calabria, come tutti gli altri che aspettano che le acque si calmino. Siamo venuti via in pochi, cosa credi? Meglio avere un lavoro da 15 euro al giorno che nulla».
I poliziotti presidiano i binari ma la Polfer, che ieri ha potenziato i servizi di controllo, non ha ricevuto alcun ordine particolare. Anche perché non ce n’era bisogno. «Non abbiamo riscontrato anomalie negli arrivi - ci spiegava in mattinata il capoturno al compartimento Polfer di Milano Centrale - Gli stranieri giunti dalla Calabria sono pochissimi, non ci sono stati problemi».
Badu Vrameh e sua moglie Eileen, 24 e 25 anni scendono dallo stesso treno. Loro sono del Ghana e hanno abitato a Feroleto della Chiesa, a 8 chilometri da Rosarno, per 9 mesi. Hanno un bambino di 11 mesi e fanno tenerezza. «Non siamo stati coinvolti nei disordini - ci tiene a dichiarare subito lui -. Abbiamo approfittato di quel che è successo per venire al nord, ma solo perché qui ci aspetta un lavoro sicuro: mio fratello vive a Rozzano e già aveva trovato un’occupazione per me, andrò a dare una mano a un panettiere di Cornaredo. Mia moglie e il bambino, invece, saranno ospiti di una comunità religiosa qui in città. Ci aspettiamo più umanità da Milano. Vogliamo stare tranquilli e lavorare, niente di più».
Ieri sera poi, dopo che un presidio in piazza San Babila, organizzato dai sindacati confederali per solidarietà agli immigrati (e definito dal capodelegazione della Lega in Regione Davide Boni «un attacco strumentale al governo») aveva raccolto 300 persone, ormai era ora di bilanci.
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