Il furto di Auschwitz Noi ebrei, ossessionati dall’antisemitismo


(...) per precedenti furti che si è lasciata acciuffare a 72 ore da un’operazione, compiuta senza pericolo venerdì scorso, che ha emozionato il mondo.
Sembra che abbiano operato per conto di un collezionista di orrori, affermano le autorità polacche, liete che l’affare si sia sgonfiato, di aver dimostrato la loro buona volontà, l’efficienza della loro polizia incassando le congratulazioni del presidente dello Stato di Israele e di numerose organizzazioni ebraiche.
Questa lugubre storia come tutte le storie ha una morale. Anzi in questo caso almeno due morali di cui sarà bene ricordarsi in futuro.
La prima concerne il cosiddetto «problema ebraico». Ci hanno provato molti a risolverlo: con le conversioni forzate, con l’assimilazione volontaria, con la persecuzione sociale e religiosa, con «soluzioni finali» di alta efficienza industriale; con le guerre totali. Non è servito a nulla. Il «problema» resta immutato anche dopo la creazione dello Stato di Israele, che agli ebrei ha dato dignità ma non sicurezza collettiva nuova. I nervi degli ebrei restano scoperti come spesso quelli di chi ha, nel bene o nel male, a che fare con loro. Perché? Mistero, almeno secondo il detto di Jacques Maritain, un mistero che accompagna il fenomeno ebraico dal suo inizio biblico lungo tutta la sua straordinaria storia. Una storia che - a partire dal racconto del Vitello d’Oro - è quella di un popolo che porta il peso di una «elezione» dalla quale non riesce a sottrarsi. Per cui in attesa di saperne forse un giorno di più e tenendo conto della globalizzazione spesso isterica della comunicazione, sarebbe saggio usare prudenza prima di conoscere i fatti e soprattutto di condannare. Non tutto quello che concerne gli ebrei è antisemitismo o filosemitismo come non tutto quello che concerne il popolo di Israele è puro.
La seconda morale concerne ciò che questo furto mette in luce. Se gli ebrei a causa delle loro vicende hanno i nervi sempre scoperti, vivono spesso nel sospetto, reagiscono spesso in maniera eccessiva agli avvenimenti che li toccano da vicino o da lontano, una giustificazione ce l’hanno. È quella di chi troppe volte si è bruciato le dita. Ma coloro che, per una ragione o per un’altra, questa giustificazione non ce l’hanno, non dovrebbero trivializzare l’antisemitismo.
È vero che ebrei, Israele, antisemitismo sono argomenti che fanno notizia, perché in ciò che li concerne sembra sempre esserci qualcuno che morde la coda del cane piuttosto che vedere il cane che li morde. Fortunatamente il furto della scritta all’entrata del lager di Auschwitz, quella scritta così arrugginita nel dolore, così falsificata nella speranza della liberazione, così vile non rappresenta nulla. Nulla se non la forza di attrazione di un mercato in ricerca, come nella perversione sessuale, di possessi sempre più eccitanti, eclatanti. In questo caso è dunque lecito trarre un sospiro di sollievo. Ma anche un avvertimento contro ogni forma di esagerazione. È esagerazione volgare ma non necessariamente manifestazione di antisemitismo, parlare di Shoah per una sconfitta al calcio, anche se qualcuno vuol vederci un traviamento dell’Olocausto. È antisemitismo, quando in Spagna il giorno della Memoria della Shoah diventa ufficialmente anche quello della memoria dell’eccidio palestinese.


Primo Levi diceva che lo scopo della sua vita di sopravvissuto era quello di cercare di raccontare ciò che le parole non possono esprimere. È saggio ricordare che un modo per onorare i morti è anche quello di saper parlare di loro abbassando la voce.
R.A. Segre

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