Gabriele d'Annunzio? È il Dante del XX secolo

"L'officina del Vate", che viene presentato oggi al Lingotto, mette in luce il legame profondo tra i due poeti "guerrieri"

Gabriele d'Annunzio? È il Dante del XX secolo
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L'officina del Vate (pubblicata da Historica) è un'edizione dei Taccuini di Gabriele d'Annunzio che offre la possibilità di affrontare alcuni problemi storiografici e letterari. Innanzitutto, sono i Taccuini pubblicati su Primato, la rivista di Giuseppe Bottai, a cura di Tom Antongini. Il proprietario era l'editore Arnoldo Mondadori. Sono sei e vanno dal 1896 al 1906-1907.

È una parte esigua perché i Taccuini, nel loro complesso, veleggiano intorno alle duemila pagine. Inoltre, un taccuino, l'ultimo, non figura nella forma completa, difficile dire se per volontà di Antongini o per una lacuna nei documenti a sua disposizione. Tuttavia, è una parte importante dei Taccuini per almeno due motivi: per la prima volta sono pubblicati in modo non estemporaneo e Primato è una sede prestigiosa. Bottai ne fece un laboratorio dove il fascismo si confrontava con la fronda nel chiaro intento di evitare la rottura. In questo modo, il Regime controllava gli intellettuali eterodossi e soprattutto li usava per mostrare quanto il fascismo fosse liberale nei confronti del dibattito.

Benito Mussolini aveva cercato in ogni modo di isolare d'Annunzio ma anche di proporlo come padre nobile delle camicie nere. Certamente, la pubblicazione dei Taccuini riflette questo intento. Tuttavia, il centenario dell'impresa di Fiume (1919-1920) ha prodotto un'enorme mole di studi che allontana d'Annunzio da Mussolini.

Il Vate non era un politico e non riuscì a trasformare il consenso in azione. Avrebbe potuto marciare su Roma al posto del futuro Duce? Probabile, ma non volle farlo. Esitò e alla fine si trovò rinchiuso nel mausoleo del Vittoriale a Gardone, sul lago. Un prigioniero di lusso, coperto d'oro e d'onori da un Regime che ne temeva il carisma.

L'eredità del d'Annunzio politico è tutta nella Carta del Carnaro, l'innovativa costituzione fiumana, mai entrata in vigore. È impossibile trovare tracce di fascismo nel documento scritto da Alceste De Ambris (poi esule in Francia) e riscritto come opera d'arte da d'Annunzio.

Vero è che Mussolini si impadronì degli slogan del Vate e anche dei punti forti della propaganda sperimentata a Fiume, ad esempio il discorso dal balcone. Primato, per tutti questi motivi, dovette sembrare dunque la sede giusta per i Taccuini.

Un altro motivo per leggere con attenzione i Taccuini risiede nella frenetica attività di Gabriele d'Annunzio. In queste poche pagine, lo vediamo sfrecciare a Venezia, Bologna, Roma, Forte dei Marmi, il Cairo, Atene, Vienna... Ovunque si trovi lo scrittore prende appunti, che non vanno a costituire un diario, bensì sono spunti da utilizzare nei libri e nei discorsi pubblici. I Taccuini di Primato confluiranno, quasi per intero, nel romanzo Il fuoco, nelle prose liriche delle Faville del maglio, nelle poesie di Maia. Troviamo anche il resoconto di una seduta in Parlamento, passi destinati a diventare una toccante lettera a Giovanni Pascoli in occasione della morte di Giosuè Carducci o documenti come l'Orazione agli ateniesi. Insomma, i Taccuini sono la materia prima della officina letteraria dannunziana e qui si vede molto bene.

Nel 2021, una mostra al Vittoriale ha messo in evidenza il rapporto tra Gabriele d'Annunzio e Dante Alighieri. Il primo si sentiva erede del secondo. Lo disse apertamente. La poesia italiana iniziava con i versi dell'Alighieri e continuava, dopo molti secoli, nell'opera di... Gabriele d'Annunzio. Nell'orazione Per la dedicazione dell'antica loggia fiorentina del grano al novo culto di Dante si legge questo passaggio su Dante, nel quale certamente d'Annunzio faceva anche il proprio autoritratto: «Il suo canto enuncia le leggi necessarie a cui la nostra stirpe deve obbedire per ritrovare la sua potenza. Egli soltanto ci aiuterà a rintracciare l'effigie smarrita dell'Italia bella; egli soltanto ci aiuterà a preparare l'avvento degli uomini che attendiamo, capaci di conciliare in una medesima idealità le grandi azioni e i grandi pensieri; egli soltanto infine potrà suscitare nei sinceri e nei forti il sentimento della vita eroica».

Dantesco era il poeta. Dantesco era il viaggiatore infaticabile. Dantesco era il soldato dalle imprese mirabolanti. Dantesco era il comandante fiumano. Dantesco era l'autoesilio al Gardone.

Allora perché Gabriele d'Annunzio non è considerato il Dante del XX secolo? Hanno pesato il pregiudizio ideologico e i troppi luoghi comuni sull'opera, letta sempre come derivativa e inserita a forza nella corrente del Decadentismo, categoria che sta stretta, strettissima a d'Annunzio. Come mostrano anche i Taccuini che qui presentiamo.

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