Galliani attacca: «C’era solo il sistema Juve»

Vogliono far credere che un tale signor Meani era il padrone del Milan

Franco Ordine

«La tecnica è quella di sempre: calunnia, calunnia, alla fine qualcosa resterà. Vogliono far credere che un tale signor Meani era il vero padrone del Milan, capace di aggiustare una partita. Io a Udine, quel giorno non c’ero, impegnato a Torino per consegnare lo scudetto alla Juve. Meani, secondo loro, disponeva di squadra e allenatore a suo piacimento. È pazzesco. Ma alla fine qualcuno, tra la gente, comincerà a credere che sia andata proprio così».
Il primo giorno di mare per Adriano Galliani, in Sardegna scortato da sponsor, marketing e cronisti, si trasforma in una dichiarazione di guerra alla casa madre della Juventus, la Fiat, e al giornale della famiglia Agnelli, La Stampa, autore ieri mattina della pubblicazione di una intercettazione tra due anonimi dirigenti di Udinese e Milan, corredata da fantasiose ricostruzioni che farebbero pensare all’aggiustamento della partita Udinese-Milan, ultima del torneo 2004-05 finita 1 a 1. Sullo sfondo l’acquisto del centrocampista Jankulovski, operazione di mercato perfezionata «nella finestra di gennaio, cinque mesi prima dunque». Infortunio clamoroso del cronista e dei carabinieri, a digiuno di regolamenti e di date del calcio-mercato.
Smascherato il bluff. Eppure Galliani non trattiene l’indignazione: «Vogliono accreditare la tesi difensiva di Moggi e dei suoi legali e cioè che c’erano in campo due sistemi, due centri di potere, uno esercitato dalla Juve, svelato dall’inchiesta di Napoli, e l’altro, assolutamente fantastico e privo del minimo riscontro, esercitato dal Milan. È un tentativo scorretto, una disperata difesa per coinvolgere il principale competitor. Ma vedrete, i risultati dell’indagine daranno ragione a chi nulla ha fatto».
E se la musica non è ancora chiara, ecco la frase che tutti i tg, nazionali e no, i siti e le agenzie, rilanciano all’ora di colazione. Insiste Galliani, in una conferenza-stampa preparata per parlare dell’addio di Sheva e dei lucchetti chiusi a Kakà, e questa volta il distinguo è netto: «Tutti i giorni, da La Stampa, stessa proprietà della Juve coinvolta, arrivano bombardate fantomatiche: vogliono far passare l’idea di un sistema Juve e di un sistema Milan. No, non è così, non è mai stato così. C’era solo il sistema Juve, tutti gli altri, Milan in testa, erano i danneggiati. E non c’è bisogno di ricordare i dati statistici: negli ultimi dieci anni, il Milan ha portato a casa solo due scudetti. Dov’era finito il sistema Milan? L’intelligence non ha funzionato. Sul piano dei risultati, a livello europeo poi è successo esattamente il contrario: il Milan è primo nella graduatoria Uefa, la Juve ha raccolto poco, pur disponendo dello stesso impianto tecnico. Cosa cambiava tra i due tornei? Non le regole, non i giocatori, non gli allenatori ma solo la nazionalità degli arbitri».
Il Milan è la parte lesa numero uno del sistema Moggi. «Di sicuro» incalza Galliani. «Per gli altri si è trattato di qualcosa di diverso» chiarisce ancora il dirigente milanista. «Perciò questa campagna non ci fa paura» ammonisce il vice di Berlusconi che, ad alta voce, commenta il gioco di squadra realizzato a Torino. «Loro sì che utilizzano al meglio le loro artiglierie», manda a dire. Un «sistema» che però non convince Francesco Saverio Borrelli: «Parlerei piuttosto di una rete molto estesa», precisa in serata.
Ma il danno complessivo per il calcio italiano è sotto gli occhi di tutti. Città (Bologna e Genova) che respingono l’iscrizione al progetto di Euro 2012, «nessuna offerta per i diritti tv della prossima coppa Italia», «gli sponsor che se ne stanno in un cantuccio ad aspettare», il mancato ricavo di 70-80 milioni di euro per la serie A dalla probabile retrocessione della Juve.
«Tutto il sistema – è la sintesi di Galliani - risulta danneggiato anche se voglio pensare positivo. E immagino che dopo i processi, si ripartirà con il campionato». Già, i processi. «Mi auguro che siano giusti e rapidi e consentano al calcio di ripartire con gli stadi ancora pieni.

Anche nell’80 sembrava tutto finito, lo scandalo era analogo sul piano dell’impatto presso l’opinione pubblica. Bearzot vinse due anni dopo in Spagna e tutto fu dimenticato. Mi auguro che la Nazionale di Lippi sia capace dello stesso exploit perché la vicenda ha tolto la gioia alla gente».

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