Garibaldi in camicia nera icona del fascismo di Salò

Non solo le brigate di partigiani comunisti. Negli anni della Guerra civile si ispiravano al condottiero anche i repubblicani ancora fedeli a Mussolini

Garibaldi in camicia nera 
icona del fascismo di Salò

Se persino un parlamentare non sa più chi sia stato l’Eroe dei Due Mondi e attribuisce il suo appellativo al fatto che avrebbe unito il Nord e il Sud d’Italia, c’è da dedurne che Garibaldi sia diventato un illustre sconosciuto.
Eppure, per un secolo e più, nessun altro uomo pubblico dell’Italia contemporanea ha goduto di una popolarità altrettanto vasta e duratura. Non c’è angolo del nostro Paese che non abbia una piazza, una via o, quanto meno, una casa a sua imperitura memoria. Dire che sia stato, anche in morte, assai popolare è dir poco. L’eccezionalità delle imprese compiute, la fama di eroe generoso così diverso, quasi alternativo al politico convenzionale, la sua dedizione senza riserve alla causa della patria avevano imposto stabilmente il suo nome nel pantheon della vita pubblica nazionale. Il suo nome è stato talmente una garanzia di probità, dedizione, generosità e coraggio inimitabili che non c’è stata praticamente forza politica (eccezion fatta per i cattolici) che non abbia cercato di appropriarsi della sua figura, debitamente ritagliandola su di sé, in modo da avvantaggiarsi dell’alone di popolarità e di credibilità che questo «santo laico, simbolo dell’unità italiana», assicurava. Con un esito insieme paradossale e unico.
L’icona Garibaldi è stata piegata ad ogni uso politico, di regola anche di segno opposto. È servita indifferentemente alla sinistra e alla destra, ai repubblicani e ai monarchici, ai socialisti e ai moderati, ai fascisti e agli antifascisti: tutti impegnati a strattonare via dalle mani degli avversari il mito del Generale.
La fortuna dell’icona di Garibaldi è cosa nota e debitamente analizzata dagli studiosi. Mancava, invece, sino ad ora uno studio che disvelasse l’uso politico fattone dal fascismo nella sua fase insieme eroica e terminale: al tempo, cioè, della Repubblica di Salò. Riempie questo vuoto un agile ma denso volume di Elena Pala, Garibaldi in camicia nera. Il mito dell’Eroe dei Due Mondi nella Repubblica di Salò 1943-1945 (Mursia, pagg. 137, euro 14) in cui il testo si avvale di una ricca e accurata scelta di materiale iconografico coevo inedito.
Andò in scena anche nei Seicento giorni di Salò un Garibaldi in camicia rossa (icona delle famose Brigate partigiane di fede comunista e, a fine guerra, del Fronte popolare socialcomunista) e un Garibaldi in camicia nera. Una volta ancora, non si realizzò solo uno sdoppiamento del mito dell’Eroe dei Due Mondi tra destra e sinistra, ma addirittura una sua divaricazione all’interno dello stesso campo del fascismo repubblicano, con un Garibaldi ripescato dalla tradizione monarchica e riverniciato da repubblicano, ma sempre in linea di continuità con l’icona ufficiale costruita dal regime liberale a suggello del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, e un Garibaldi affrancato dalla tutela dell’Italietta liberale per esaltare il fascismo degli irriducibili risorto sulle sponde del Lago di Garda, incaricato di compiere «la missione storica dell’Italia».
Il Generale reinventa, per l’ennesima volta, la propria immagine: da eroe dell’Italia risorgimentale diventa il duce di un’indomita pattuglia di «puri e duri» disposti anche a morire pur di tenere alta la bandiera dell’Onore contro gli invasori e i traditori. Da figura capace di unificare nella sua persona l’intera nazione a difensore degli umili e degli oppressi contro la borghesia plutocratica. Da icona di una Patria concorde a «campione dell’idea repubblicana, fautore di una rivoluzione sociale, capace di ogni azione eroica», anche se votata alla sconfitta, pur di testimoniare la fede inconcussa nella causa nazionale.


Fu forse questa ultima, estrema manipolazione del suo mito, cui poco dopo farà pendant l’opposta sua appropriazione da parte della sinistra nel corso di una sfida elettorale del 1948 condotta alla stregua di uno scontro di civiltà, che comprometterà definitivamente la carica di fascinazione della figura dell’Esule di Caprera, ormai prigioniero e vittima di un uso politico troppo spregiudicato per non comprometterne la credibilità e la stessa sua spendibilità politica.

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