Garibaldi, Mussolini e Vittorio Emanuele: ecco i «duce» italiani

Gentile dott. Granzotto, forse lei può togliermi una curiosità... storica: chi fu il primo a chiamare «Duce» Benito Mussolini?
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Forse è meglio mettere subito in chiaro una cosa, caro Pallini: che l’attributo «duce» non sia una invenzione del fascismo è evidente, visto che è giunto fino a noi dalle antichità classiche. Ma non è neanche vero, come spesso si crede, che il fascismo se ne sia appropriato dopo secoli di oblio. Senza retrocedere fino a Dante (che nella Commedia qualifica Davide «Sommo cantor del sommo duce», cioè di Dio), il nostro Peppino Garibaldi acquisì la carica e orgogliosamente si fece chiamare non solo dittatore, ma anche duce. Quel tràino, quello spogliampise di Liborio Romano, ministro di Polizia del buon Re Francesco II, lo invitò ad affrettarsi a raggiungere Napoli invocandolo «duce invittissimo» (quando ciò avvenne, si presentò in marsina e tuba color senape alla stazione ferroviaria per essere il primo a stringere la mano a Garibaldi. Ma rimase malissimo. Il duce scese infatti dal lato opposto, quello che dava sulle rotaie perché essendo i treni d’allora privi di gabinetto e avendo da tempo una impellente necessità fisiologica, quella fu la prima cosa che fece mettendo piede sul suolo della Napoli redenta: la pipì). A cose fatte, a Italia una e indivisibile, a esser duce fu la volta di Vittorio Emanuele III. Nel roboante Bollettino della Vittoria (4 novembre 1918) si legge, alle prime righe: «La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta».
Nel senso di guida, capo, condottiero - che poi è il senso proprio del termine - «duce» non cessò dunque mai di essere presente nel linguaggio aulico. Quale fondatore del fascismo e capo di un piccolo partito, i Fasci di combattimento (4mila 795 voti e, ovviamente, neanche un seggio alle elezioni del novembre 1919; 35 seggi in quelle del 1921) ribattezzato poi Partito nazionale fascista, Mussolini non poteva certo ambire al titolo di duce e infatti nessuno dei suoi glielo attribuì. Ma le cose cambiarono dopo la grande manifestazione di piazza passata alla storia come la Marcia su Roma e l’incarico di formare un nuovo governo. Da quel momento i suoi seguaci presero a chiamarlo duce perché, in effetti, come loro guida, come loro condottiero, non se l’era cavata poi così male. Col tempo e favorito in ciò dalla suggestione della romanità sulla cultura fascista, quel duce da attributo si trasformò in titolo istituzionale indicando il responsabile di un ruolo e meritandosi dunque la maiuscola: Duce (però va tenuto conto che la formula rituale, ortodossa, era «Duce del fascismo», non della nazione o degli italiani. Una distinzione non trascurabile). Sicché negli atti ufficiali Mussolini era indifferentemente Capo del governo, Primo ministro segretario di Stato o Duce. Per tornare a essere, dopo il Gran consiglio, semplicemente Cavaliere.

«Attenzione, attenzione! Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni da Capo del governo e Segretario di Stato di sua eccellenza il Cavalier Benito Mussolini...». Così, alle 22 e 45 di domenica 25 luglio 1943. La voce era quella di Giovanbattista Arista, lettore del Giornale Radio Eiar. L’Italia voltava pagina e per prima cosa si professò d’un botto antifascista.

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