Il banco di prova è arrivato. Con l'accensione del riscaldamento, l'emergenza gas entra nel vivo. E mentre dilaga la preoccupazione per il rincaro bollette annunciato, si cercano soluzioni per far fronte alla situazione. Soluzioni alternative, sostenibili ed efficaci, capaci di contribuire ad alleviare la dipendenza dal gas russo, che oggi copre oltre il 40% del fabbisogno nazionale. Tra dipendenza dall'estero e spinta alla transizione, il Paese denuncia mancanze e inadeguatezze, oltre che forti ritardi. In uno scenario del genere lo sviluppo del biometano si delinea tra le alternative non solo possibili, ma anche percorribili. Implica l'adozione e la diffusione di impianti, in gergo tecnico biodigestori, che, dotati delle migliori tecnologie, riescono a trasformare i rifiuti organici in energia rinnovabile, sottoforma di biogas e biometano, appunto.
Negli ultimi anni questo tipo di impianti sta crescendo esponenzialmente in tutta Europa. La mappa del biometano mostra che sono circa 300 le nuove unità sorte nell'ultimo anno e mezzo. Oggi l'Europa conta circa 20mila unità in funzione (impianti di biogas e biometano), in crescita del 40% rispetto alla rilevazione precedente del 2020. In Italia Iren, multiutility attiva nel Nord-Ovest e nel Centro Italia, ha inserito non a caso lo sviluppo di biodigestori nel proprio Piano Industriale 2030, con una doppia finalità. Da una parte smaltire i rifiuti organici, dall'altra contribuire alla produzione di gas ecofriendly. «Se nel lungo termine la strategia deve essere quella di individuare fonti e tecnologie alternative ai combustibili fossili, in particolare attraverso le rinnovabili, nel breve termine non dobbiamo commettere l'errore di considerare il gas come fonte da demonizzare - esordisce Luca Dal Fabbro, presidente di Iren -. Nei prossimi anni sarà imprescindibile fare investimenti per consentire una progressiva transizione energetica. Tra questi, un ruolo di primo piano può e deve averlo la costruzione di impianti di produzione di biometano. Si tratta di una miniera sostenibile, che al momento non sfruttiamo adeguatamente a livello di sistema Paese: come Gruppo Iren abbiamo già messo in campo un impegno rilevante con investimenti sui nostri territori, certi che sia una strategia particolarmente importante, che permette di trasformare uno scarto in risorsa energetica, contribuendo alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento».
Attualmente il lungimirante Gruppo ha due biodigestori in esercizio - uno in provincia di Savona, a Cairo Montenotte e l'altro a Santhià, vicino a Vercelli - e uno è ora in costruzione a Gavassa, nelle vicinanze di Reggio Emilia. Tutti e tre, dediti alla produzione di biometano, sono in alto alle priorità del Gruppo. Tanto che a ottobre 2021 Iren ha raddoppiato l'impianto di trattamento dei rifiuti organici di Cairo Montenotte con un investimento di 16,6 milioni di euro, portando l'impianto a una capacità di trattamento da 45mila a 80mila tonnellate annue di rifiuti organici e a una produzione annua di 6 milioni di metri cubi di biometano da immettere direttamente nella rete Snam. Non solo. Il materiale organico viene anche trasformato in compost di qualità e destinato a diversi tipi di culture e aziende agricole. La produzione annua di compost è di 10mila tonnellate (un quantitativo utile a fertilizzare circa 500 ettari di terreno), che vengono consegnate a diverse aziende agricole tra Liguria e Piemonte. Per la serie, innovazione, sostenibilità ed economia circolare in un colpo solo, anzi, in un impianto solo.
Per quanto riguarda, invece, la realizzazione del nuovo impianto di Gavassa, il Gruppo prevede che sarà operativo nel giro dei prossimi mesi e produrrà 9 milioni cubi di biometano all'anno.
La quantità di biometano prodotta dall'impianto sarà sufficiente a riscaldare, in un anno, 4.600 famiglie oppure ad alimentare 7.600 vetture con una percorrenza media di 15mila km all'anno. In più, consentirà di evitare circa 14mila tonnellate all'anno di emissione di anidride carbonica in atmosfera.
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