La Gelmini: "Ora meritocrazia" Via alla rivoluzione negli atenei

Aumento di stipendio ai prof migliori, rettori in carica massimo 8 anni, bilanci trasparenti. Il ministro: "Bisogna aver coraggio di cambiare"

La Gelmini: "Ora meritocrazia" 
Via alla rivoluzione negli atenei

Mentre nelle aule si tengono gli ultimi esami e il grosso dell’esercito degli studenti ha già raggiunto i lidi estivi, il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini sorprende e presenta la Riforma dell’Università. Punto per punto, la Gelmini ha giocato d’anticipo sbattendo sul tavolo una delle riforme potenzialmente più esplosive degli ultimi decenni, visto l’effetto che l’anno scorso hanno avuto i tagli in finanziaria dei fondi per gli atenei. «Bisogna avere coraggio - ha affermato il ministro - di cambiare l’Università non difendendo lo status quo ma premiando i giovani meritevoli, i nuovi ricercatori e le Università che puntano sulla qualità eliminando gli sprechi e i corsi inutili».
Qualità, premio del merito, abbattimento delle rendite di posizione e dei baronati: ma anche un occhio attento all’amministrazione finanziaria, e del resto non potrebbe essere altrimenti visti i tagli operati da Tremonti. E per dare ai rettori la possibilità di sfruttare delle novelle «economia di scala accademiche», la riforma permetterà agli atenei di fondersi tra loro (o aggregarsi su base federativa) al fine di evitare duplicazioni e costi inutili. In parole povere non ci sarà più bisogno di avere tre distinti laboratori linguistici per tre università contigue, ma si potrà decidere di attrezzare al meglio una sola struttura e poi utilizzarla con sistemi di turnazione. L’introduzione di questa misura, anche se diminuirà le spese fisse, non risanerà i bilanci disastrati, visto che per la maggior parte i soldi che Roma gira alle facoltà finiscono quasi tutti negli stipendi di docenti e amministrativi. E qui entra in gioco la riforma dello stato giuridico e del reclutamento dei docenti: viene per la prima volta stabilito un riferimento uniforme per l’impegno dei professori per il complesso delle attività didattiche, di ricerca e di gestione, fissato in 1.500 ore annue di cui almeno 350 destinate a docenza e servizio per gli studenti. Corollario dell’aumentato impegno lavorativo la riforma del sistema retributivo, che vede finalmente lo scardinamento delle rendite di posizione dettate solo dall’anzianità di servizio: gli scatti stipendiali andranno solo ai professori migliori, e si rafforzeranno le misure in tema di valutazione biennale dell’attività di ricerca dei docenti. In caso di valutazione negativa si perderà lo scatto di stipendio e non si potrà partecipare come commissari ai concorsi.
Contraltare dell’«attacco» ai baroni quello sferrato ai veri potenti delle università: i magnifici. Se infatti alla base della riforma dell’amministrazione accademica c’è l’adozione di un codice etico generale per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele, sono comunque i rettori i «bersagli» dei cambiamenti più radicali: per loro sarà previsto un limite di 8 anni per mandato (inclusi quelli già trascorsi prima della riforma). Ci sarà infine una distinzione netta di funzioni tra Senato accademico e Cda: il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il Cda ad avere la responsabilità chiara delle spese, delle assunzioni e delle spese di gestione anche delle sedi distaccate. Sarà ridotto il numero di membri sia del Senato (al massimo 35 contro gli oltre 50 di oggi) sia del Cda (11 invece di 30) «per evitare organi pletorici e poco responsabilizzati».

E questi organi di gestione più snelli e più responsabilizzati saranno tenuti a produrre della contabilità economico-patrimoniale uniforme secondo criteri nazionali concordati tra Miur e Tesoro. Oggi come oggi i bilanci delle università non sono chiari e non calcolano la base di patrimonio degli atenei. Dopo la riforma i bilanci dovranno rispondere a criteri di maggiore trasparenza.

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