Sarebbe ora di dare una rinfrescata all'immagine scolastica di Gabriele d'Annunzio. Riassumiamo: grande poeta ma vacuo, grande narratore ma derivativo, grande personaggio pubblico ma contiguo al fascismo. Per quanto sia possibile cadere in qualche equivoco, perché d'Annunzio è larger than life, gli studi dicono ormai cose completamente diverse. Eugenio Montale non apprezzava l'abruzzese ma ammetteva che non si poteva fare poesia nel Novecento senza attraversare l'opera di d'Annunzio. Sul narratore, c'è davvero molto da aggiungere, e proveremo qui ad accennare cosa. Sulle posizioni politiche, il recente centenario della impresa di Fiume non lascia spazio a dubbi. D'Annunzio non aveva simpatia per il fascismo e per Benito Mussolini. La Carta del Carnaro, il suo testamento politico, non ha nulla a che fare con le leggi fascistissime che diedero vita al regime. La Carta del Carnaro è una costituzione libertaria e avanzata, ancora oggi suona moderna e coraggiosa. Lo stesso richiamo al corporativismo ha origini e finalità diverse da quello in camicia nera: era un richiamo ai liberi comuni in una città-stato, Fiume, che lottava per non essere inghiottita dalla Jugoslavia, visto che l'Italia non sembrava in procinto di annetterla. In questa stessa pagina, potete trovare una testimonianza dei rapporti tra Gabriele d'Annunzio e Benito Mussolini. Il primo inviò, da Fiume, una lettera di insulti. Il secondo, genio del giornalismo, con qualche abile taglio riuscì a pubblicarla sul Popolo d'Italia, facendola passare come il messaggio di un amico. Quando i legionari fiumani tornarono in Italia, d'Annunzio disse loro di non mescolarsi alle camicie nere.
Molti faranno il contrario, delusi dall'attendismo del vate e ignorandone gli ordini. È vero piuttosto che Mussolini saccheggiò i metodi della propaganda dannunziana (altro tema scavato a fondo in questi anni). Il furto più importante, oltre alle parole d'ordine, è il discorso dal balcone, un classico per d'Annunzio. Il vate si chiuse nel Vittoriale, capì di aver perso l'occasione, convisse in silenzio col Regime. Mussolini continuava a temerlo come rivale. Quando l'alleanza con la Germania si fece stretta, ecco saltare fuori d'Annunzio, nettamente contrario al legame con Adolf Hitler e il nazismo. Cosa avrebbe detto il vate nel previsto discorso all'Accademia d'Italia, principale istituzione culturale del regime? D'Annunzio ne aveva accettato la presidenza nel 1937 ma non aveva mai presenziato a una riunione. Poi aveva deciso di parlare, alla fine del 1938. Il regime temeva che avrebbe detto qualcosa di inaccettabile nella nuova situazione diplomatica. La morte di Gabriele d'Annunzio, il 1° marzo 1938, a qualcuno probabilmente fece tirare un respiro di sollievo.
In D'Annunzio. La vita come opera d'arte (Rizzoli, pagg. 290, euro 27), Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale, offre una avvincente biografia del poeta-soldato, estremamente aggiornata e arricchita da un importante apparato fotografico: sono ancora migliaia le lastre che attendono di essere stampate. Il Vittoriale sta provvedendo, e nel volume potrete vedere un ricco assaggio di questo lavoro.
La morte dunque. Guerri ritiene, come ha anche scritto sul Giornale, che qualche indagine ulteriore andrebbe condotta sulla figura dell'ultima cameriera del Vittoriale, una altoatesina di Bolzano, chiamata Emma. La donna prese il posto di amante in carica e potrebbe aver avuto un ruolo da chiarire nella morte del poeta. Overdose di cocaina? Avvelenamento? Si dovrebbero riesumare i resti e condurre qualche analisi approfondita. Oppure è meglio lasciar riposare il Vate. Fatto sta che Emma, dopo un periodo al servizio di Costanzo Ciano, filo-tedesco, si trasferì in Germania. Una leggenda vuole che sia entrata al servizio di Ribbentrop, futuro ministro degli Esteri del nazismo.
D'Annunzio è sempre pieno di sorprese. Eccone una. Guerri: «C'è, in un cassetto della camera da letto al Vittoriale, una scatoletta che la prima volta aprii con raccapriccio. È piena di riccioli di pelo pubico, di svariati colori e forme. Ma guarda che maniaco, pensai. Poi un giorno incontrai uno storico della transumanza - esistono - e mi spiegò che i pastori abruzzesi (Ah perché non son io co' miei pastori?) prima di partire per la lunga migrazione tagliavano un ciuffetto alla moglie e lo portavano sul cuore, segno d'intimo amore, non di libido».
Ed ecco che un aneddoto spalanca un mondo da indagare, sul quale esistono ancora pochi e pionieristici studi, ad esempio I sacrifici umani. D'Annunzio antropologo e rurale (Liguori editore, 1991) di Rosamaria LaValva. D'Annunzio conosceva personalmente Antonio De Nino, archeologo abruzzese. Affascinato dal folclore, conosciuto nel corso degli scavi, De Nino getterà le basi della antropologia italiana. Il poeta e lo studioso viaggeranno, nel 1896, tra Scanno, Sulmona e Anversa degli Abruzzi. D'Annunzio raccoglierà molto materiale, poi disseminato in opere diverse. De Nino pubblicherà studi su usi e costumi del folclore abruzzese e resterà in contatto con d'Annunzio al quale suggerirà numerosi spunti. L'archeologo studierà riti sacri, favole, rimedi medici e la vita del santone Oreste De Medicis, riecheggiata dall'amico scrittore nel romanzo Il trionfo della morte (1894).
Il poeta, nelle vecchie favole tradizionali, coglieva risvolti apertamente simbolici e intuiva la presenza di uno spazio oscuro dove si nascondevano i fantasmi della violenza e della crudeltà. Vanno rilette alla luce di queste conoscenze opere come Le novelle della Pescara, antologia di racconti che sfoggia gioielli neri come Il cerusico del mare o La morte del duca d'Ofena, chiaramente giocati sul ruolo del sacrificio (umano) nelle società ancestrali poi trasfigurato nei riti della modernità.
Nell'Archivio del Vittoriale si conservano 34 pagine di appunti datati «1906» dall'autore. Il titolo è I Sacrifizii Umani. Lo scrittore annota i testi sacri in cerca degli episodi in cui appare un sacrificio. È possibile che d'Annunzio avesse svolto il lavoro di documentazione in vista della immaginata biografia della più grande tra le vittime volontarie: Gesù. Non ne farà niente. Intanto, però, d'Annunzio stesso ci ha fornito le prove di un interesse per niente passeggero.
Non sarebbe sbagliato, anzi: andrebbe indagato, quanto la consapevolezza di certi meccanismi abbia influenzato anche l'attività da oratore e da politico.
D'Annunzio è il «mago» che incanta la folla dal balcone ma è anche il «sacerdote» consapevole di quanto sia importante suggestionare la folla con la ritualità, leggera o solenne, dei festeggiamenti pubblici, che infatti erano centrali nella vita di Fiume occupata.
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