Claudio Burlando non cerca giri di parole: «È stata una sconfitta». Dote rara, nel centrosinistra e nel Pd, quella della sincerità. Ma il governatore della Liguria la sfodera per un'impietosa analisi del voto che parte dalle colpe evidenti di un sedicente leader che annuncia di smacchiare i giaguari e si fa fregare persino dal salto del Grillo. «È una sconfitta per noi del centrosinistra, non per Bersani», tiene a sottolineare Burlando. Il suo non è un tentativo di alleggerire il peso dalle spalle del segretario. Anzi, il discorso è chiaro e significa che a subire il danno è stato tutto il partito, i candidati, gli elettori, non l'aspirante premier. La differenza è sottile, ma diventa evidente quando si tratta di indicare le colpe della «sconfitta». Perché allora Burlando è netto: «Dopo aver vinto le primarie, Bersani non ha avuto la forza di leadership - in un momento di crisi del centrodestra - di apparire come un elemento di novità forte».
Il governatore parla a cuore aperto in un'intervista su Primocanale e, nonostante ogni tentativo di far apparire il suo pensiero come un sogno di asse Pd-Grillo peraltro espresso chiaramente in un comunicato dell'editore-senatore, fotografa perfettamente un quadro politico inatteso. A partire dalla correttezza del titolo di ieri del Giornale: «Miracolo Berlusconi», prova a leggere con voce ironica l'intervistatore. «Beh, tutto sommato è vero», chiosa Burlando, che poi prende atto del successo del Movimento 5 Stelle, una delle tre forze politiche più o meno equivalenti nel Paese. Una forza che, esattamente come il centrodestra, dovrà essere ascoltata da chi avrà l'incarico di tentare un nuovo governo. «In democrazia è naturale che sia Bersani a doverci provare», la butta lì un più che perplesso Burlando. Che dopo aver tracciato un obiettivo davvero minimo per l'ipotetico esecutivo, consistente nella riforma delle legge elettorale e del numero dei parlamentari, non si nasconde di fronte alle domande sulla disfatta del Pd. Se ci fosse stato Matteo Renzi anziché Bersani, ora ci sarebbe un altro risultato? «Forse sì», si lascia subito andare il governatore.
Ma il punto è soprattutto l'errore strategico compiuto dal Pd di Bersani dopo aver cancellato con le primarie la voglia di rinnovamento portata avanti dal sindaco di Firenze. «L'invito per Renzi a venire a Genova doveva essere di pomeriggio, a pochi giorni dal voto. Un'iniziativa importante - ricorda Burlando -. Il fatto che lui fosse ancora libero la settimana prima, testimonia che qualcosa è successo». Un big, colui che rappresentava comunque quasi mezzo Pd, era stato messo da parte. «Non abbiamo messo in campo tutte le sensibilità del Pd - affonda l'accusa il governatore -. Abbiamo cominciato a richiamare Renzi per avere visibilità quando abbiamo capito che non sfondavamo. Alla fine di una campagna elettorale debole, una volta intuita l'avanzata di Grillo, lo abbiamo precipitosamente richiamato. Ma uno che ha il 40 per cento lo devi mettere in campo. Lo abbiamo capito noi in Liguria dove i bersaniani sono forti...». Non lo ha capito Bersani. O forse non lo ha voluto capire.
Ora gli toccherà fare mea culpa e chiedere ancora l'aiuto di Renzi? «Di certo quello che deve fare di meno è proprio Renzi - dà l'ultima stoccata Burlando -.
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