Crisi, se Monaco resiste è merito di Alberto II e della «fiscalité douce»

Si chiama «Monaco en Chiffres» ed è il volume realizzato dall'Imsee (l'istituto di studi statistici del Principato di Monaco) che svela i segreti dei successi economici del Principato permettendo di scoprire l'intero panorama della vita economica e sociale monegasca: dalle informazioni che riguardano il fondo di riserva costituzionale, ai commenti dettagliati sul prodotto interno lordo ed il commercio estero. E la precisione matematica dei dati riportati parla a chiarissime lettere: nonostante l'incalzare di uno dei periodi più difficili per tutti i Paesi della zona Euro, la situazione del Principato rimane buona: il Piccolo Stato Governato dal Principe Alberto II non ha debiti perché ha potuto fare affidamento sul suo cospicuo fondo riserva. Le entrate fiscali a fine luglio hanno addirittura segnato un +9% rispetto al 2006. Sono i frutti della nuova finanziaria molto prudente e disciplinata: pochi tagli e quasi impercettibili, che non toccano in alcun modo i settori della sicurezza, della protezione sociale e della salute. E i meriti vanno tutti ad Alberto II di Monaco, che al timone di Montecarlo ha un debole per gli affari. E si vede.
Capo di Stato instancabile è riuscito a portare nel Principato il profumo di business che si respira nella City londinese. E lanciare Monaco nel Gotha della finanza. Pulita. Ma molti non lo sanno, pensano che il Principe sia seduto sugli allori del passato, sul fascino Glamour del Casinò inaugurato nel 1879, dello Sporting e dell'Hotel de Paris. E Alberto II che ha studiato negli Usa, ha fatto la gavetta in Jp Morgan, nello studio legale Rogers & Wells e persino in un'agenzia di pubblicità è un Capo di Stato esemplare. Se Montecarlo è una macchina da soldi e riesce a restare fuori dalla crisi è soprattutto merito suo. Cominciò il suo avo il Principe Carlo, portando sulla Costa Azzurra, la moda delle case da gioco e inaugurando il Casinò. Poi negli anni sessanta fu il turno del suo discendente il Principe Ranieri II denominato il «Principe Costruttore» capace di creare un business immobiliare senza precedenti.
Alberto II invece, che gioca molto sulla finanziaria e lavora per attirare il mondo del private equity è un vero leader da cui molti capi di Stato europei dovrebbero prendere esempio. E il suo operato è una risposta su chi ancora fa confusione tra Monaco porto fiscale e Monaco snodo di ricchezze di dubbia provenienza. Monaco fa parte, da numerosi anni, di tutti i principali organismi internazionali che dettano gli standard in materia di trasparenza fiscale e di lotta contro il riciclaggio e la corruzione, come il Global Tax forum dell'Ocse, il Gafi, il Moneyval e la Greco. Il lavoro del Principato è costante per garantire che la propria legislazione e la sua applicazione siano in linea con le esigenze di questi organismi internazionali. Lo conferma il Tax Justice Network, che stabilisce una classifica dei Paesi in funzione alla non totale trasparenza, ha piazzato Monaco al 64° posto, una posizione nettamente migliore rispetto a quella di Paesi molto più grandi.
Ma il segreto è anche la nuova finanziaria che fa come priorità del governo il rilancio dell'avanzo di bilancio per mantenere la competitività ed avviare una spirale virtuosa in grado di garantire solo la sostenibilità economica e sociale cercando di intervenire con un piano finanziario triennale, per non fare trovare nessuno a dovere decidere leggi dure e rigorose nel futuro.
Questa è anche la ricetta: gli investimenti strutturali proseguono puntando all'equilibrio da una parte per mantenere la competitività e l'attrattiva dall'altra, arrivando progressivamente all' equilibrio assoluto. Di certo i monegaschi privilegiano di benefici non indifferenti, che continuano a dimostrare di meritare.

A Monaco certo non esistono imposte dirette, vige lo stato di Fiscalitè douce come preferiscono chiamarlo, frutto di un ordinanza di Carlo III che risale al 1869 e che Alberto II non ha alcuna intenzione di modificare. Insomma l'economia va bene anche senza tasse. E il Principe tiene a precisarlo «in un Paese Costituzionale ogni diritto corrisponde a un dovere». Dovrebbe essere così per tutti.

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