(...) ufficiale all'hotel di Corte Lambruschini. Quando, emozionato come lo era raramente, si affacciò sulle scale di sicurezza che danno sul davanti insieme a Fantantonio, e fece segno di vittoria con le mani. In realtà non aveva vinto assolutamente nulla in quel momento. Ma l'entusiasmo delle migliaia di persone che lo attendevano lì sotto, era già una vittoria. Soprattutto, a fronte di una città a cui ha dato moltissimo e che non gli ha mai riconosciuto nulla, spesso nemmeno un grazie. Anzi.
Invece, il popolo sampdoriano, per la prima volta, ringraziava per il regalo. E vedere Duccio emozionato e felice per questo, così come lo è stato ogni volta che andava sotto la Sud con la sciarpa a festeggiare un traguardo sportivo, è stata una gioia. Grande almeno quanto lo è stata l'indignazione per vederlo vergognosamente insultato da alcuni in quella stessa gradinata, ma soprattutto in tribuna, in un rapporto di amore-odio che, domenica pomeriggio, ha chiuso il cerchio sull'amore.
Col tempo, poi, Garrone ha iniziato a essere più tecnico nel suo non essere intenditore di calcio. E la naïveté di «Iuliano lo spagnolo» ha lasciato spazio ad altre frasi di un altro mondo e di un altro calcio, certo non da sopraffino intenditore di cose calcistiche, però spie di una conoscenza di uomini e caratteristiche che iniziava a crescere, soprattutto in un uomo bulimico di curiosità come era Duccio. E, quindi, magari non saranno condivisibilissime dagli opinionisti doc e dagli intenditori con la puzzetta sotto il naso, ma frasi tipo «come centravanti potremmo usare Ziegler, ha un gran bel tiro» pronunciata il giorno in cui tutte le punte erano infortunate o squalificate, oppure «Non abbiamo lasciato andare via noi Pazzini, la verità è che era lui che non voleva rimanere. E quando uno non vuole rimanere è meglio che vada. In queste condizioni è meglio Krsticic che Pazzini», pronunciata quando Krsticic aveva giocato una sola partita in serie A sempre per la mancanza di attaccanti di cui sopra, che sembravano surreali, invece sottintendevano una conoscenza sempre più approfondita del calcio.
Insomma, quell'alieno nel mondo del calcio è diventato sempre meno alieno. E, finalmente, domenica, tutto il Ferraris ha riconosciuto la grandezza di un grandissimo presidente. Confesso: io che blucerchiato non sono, già mi ero commosso ai funerali e avevo apprezzato moltissimo quell'immagine dei due pullman di Sampdoria e Genoa affiancati a De Ferrari con Enrico Preziosi e tutta la squadra in prima fila a rendere omaggio a Duccio, ma credo che domenica nemmeno l'uomo con il cuore di pietra più dura abbia potuto fare a meno di provare un brivido in quello stadio.
È stato il capolavoro della vita di Edoardo che, a differenza di papà, tifoso blucerchiato lo è stato da sempre. E che lo è ancor oggi, a volte anche troppo nelle sue reazioni sanguigne. Ma l'investitura di tutto lo stadio e il ringraziamento a papà, a lui, a tutta la famiglia Garrone e alla famiglia Mondini è stato un capolavoro. Perchè, finalmente, i genovesi - di natura un po' bruschi, silenziosi e in qualche caso difficili alla gratitudine - hanno detto con gli striscioni, con le bandiere, con gli applausi, con le lacrime, con la presenza, finalmente il loro «grazie».
E, come ogni capolavoro che si rispetti - al di là delle splendide sfumature calcistiche, con la straordinaria prestazione in campo, su cui tornerò domani - anche tutte le altre sfumature dell'iride blucerchiato sono state perfette. A partire dalla presenza di tutta la famiglia in tribuna, di cui vi parla qui a fianco il nostro Vittorio Sirianni, sempre più prezioso come memoria storica della Genova più bella. Moglie, sorella, cognato, figli, nipoti, in quella che non era una mesta cerimonia, ma una bellissima festa. Con anche qualche tocco di colore in più: il cappello di Filippo (che, non a caso, fa il pittore); il sorriso con cui Vittorio ha salutato la mamma: «Ciao, mamma!» ha detto, con negli occhi e nella voce la sorpresa di chi finchè non la vedeva allo stadio non ci avrebbe mai creduto; i «belàn» con cui Aldo Spinelli faceva coreografia nella famiglia allargata degli amici; i dipendenti di Sampdoria ed Erg che dovevano esserci.
E poi, in campo, il giro di saluto e di ringraziamento di Edoardo - successore già eletto da tanto, ma da domenica successore in tutto e per tutto, come Obama il giorno del giuramento, con Anna sempre più splendente nel ruolo di Michelle della situazione -, dei ragazzi delle giovanili e dei quadri: Sagramola, Osti e poi tutti i capi dei settori: Alberto Marangon, mai emozionato e dolce come in questa settimana, Filippo Spitaleri e Marco Caroli.
Tutti per Duccio. Nel Ferraris, mai così suo.
(1-continua)
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