(...) per il tennis; dalle colonie di Savignone e Rovegno, fra le altre, alla costruzione della Genova-Serravalle nel 1933...
Ho già scritto cosa penso di tutta questa vicenda. Di come - fatta salva la critica possibile al giorno e al luogo delle parole di Berlusconi - in realtà di «indecente», per usare l'aggettivo del sindaco Doria, ci sia solo la strumentalizzazione di dichiarazioni che sono un fatto, riconosciuto dalla storiografia bipartisan, non un'opinione. Ferma restando la condanna inappellabile delle leggi razziali e dell'alleanza con la Germania hitleriana (lo ripeto di nuovo, a scanso di equivoci e ulteriori strumentalizzazioni), durante il fascismo vennero anche fatte cose positive. La lista l'ho già fatta l'altro giorno e i lettori del Giornale ce ne hanno dato atto in modo praticamente plebiscitario, circostanza che denota spirito critico e capacità di affrontare il totem politicamente corretto. Cosa di cui li ringrazio ulteriormente.
Ma, sul piano locale, su due o tre punti della lista di Plinio vorrei soffermarmi. Grandi e piccole. E lo vorrei fare con l'argomento più forte, il confronto con l'oggi. Pensate al cantiere per la copertura del Bisagno e al suo confronto con i lavori odierni, con i cantieri infiniti, con lo scolmatore messo da parte e mai più ripreso in mano.
Oppure, pensate a Valletta Cambiaso. Che, magari, non è il problema centrale di Genova. Ma che è e resta uno splendido polmone verde in mezzo ad Albaro, dove si sono formati e sono cresciuti migliaia e migliaia di ragazzi genovesi, stremati dal terribile giro di campo, che ha portato Fabio Fognini ad essere l'eroe che ha riportato l'Italia ai quarti di finale di Coppa Davis. Eppure, quella «Valletta Cambiaso» era straordinaria, monumentale, esempio di struttura ben tenuta, così come lo è stato anche negli anni d'oro del dopoguerra a Genova. Come mai, invece, oggi, il percorso di guerra atletico, diventa un percorso di guerra estetico, con alberi caduti, porte sfondate e vialetti sporchi?
Sia ben chiaro, non sono qui a dire che «quando c'era Lui» i treni arrivavano in orario e che il miglior regime è preferibile alla peggior democrazia. Comunque, la peggior democrazia, con tutti i suoi difetti, è meglio.
Però, quelli che ho citato sono fatti, nient'altro che fatti. Non opinioni, non nostalgie, non revisionismi. Fatti. Incontestabili. Riconosciuti anche dalle persone e persino dai politici di sinistra dotati di onestà intellettuale. E, credetemi, ce ne sono parecchi.
Ma il terzo caso di cui voglio occuparmi è, se possibile, il più macroscopico. Quello che fa riflettere. Anche in questo caso sulla base dei fatti, nient'altro che i fatti. Pensate a quando vi immettete in autostrada, a Serravalle Scrivia, in direzione Genova. E pensate al cippo di marmo che ricorda i lavori, con tanto di numeri romani con l'anno del regime e citazione di inizio e fine dei lavori. Certo, poi, la «Camionale» non è il massimo della modernità e le curve del tratto appenninico, fra Ronco Scrivia, Busalla e Bolzaneto, si sentono tutte. Ma, per l'appunto, quella - dal levante ligure - è la strada più breve e diretta per andare a Milano, realizzata in pochissimo tempo ai tempi del fascismo. Un fatto.
Ed è un fatto anche quello che accade ai giorni nostri. Una storia nella quale discutiamo da anni di un breve tracciato per decongestionare la viabilità cittadina e autostradale attorno alla città. In principio, fu la Voltri-Rivarolo, una bretella che trent'anni fa avrebbe già permesso al traffico - soprattutto quello delle merci - di evitare milioni di ore perse in coda ad attendere di uscire da Genova, soprattutto a ponente, ma che saltò per l'opposizione di onnipresenti comitati che si oppongono sempre e comunque a tutto. Se qualche politico sempre a caccia di voti e demagogia - nella stragrande maggioranza dei casi di sinistra, ma non mancano anche i tardi imitatori di destra che hanno la geniale trovata di accodarsi alle battaglie più sbagliate - non si fosse messo di mezzo, oggi saremmo qui a raccontare un'altra storia di sviluppo e di futuro per Genova.
Invece, non se ne fece nulla e, per anni, si è continuato a non farne nulla, con continui studi di fattibilità, consulenze e progetti, sfornati a getto continuo. Fino agli ultimi anni, con la decisione di fare la Gronda, e poi il Dibattito Pubblico (anzi il débat public, come preferiva Marta), e poi il dibattito sul Dibattito Pubblico e le contestazioni perchè erano previste solo l'opzione uno, l'opzione due, l'opzione tre, l'opzione quattro e l'opzione cinque, ma non l'opzione zero, cioè la scelta di non fare nulla. E poi, e poi, e poi...
Fino alla caduta di Marta Vincenzi, paladina della Gronda, e all'avvento di Marco Doria, a cui invece la Gronda non piace proprio. E però, nella sua maggioranza, l'azionista di riferimento, che è il Pd, invece la vuole. E si va avanti così, di discussione in discussione e di ultimatum in ultimatum.
Potrei continuare per pagine, ma il ragionamento è chiaro.
Questi sono fatti. Poi, se vi piace, dateci pure dei «fascisti!». Anche se credo che ricordare i fatti sia solo liberale.
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