La politica finisce a bagno e la finanza torna in Regione

La politica finisce a bagno e la finanza torna in Regione

(...) Qualcosa insomma non torna. E questo qualcosa è presto detto. Tra i consiglieri regionali liguri c'è chi ha messo in conto ai cittadini le spese per l'acquisto di bottoni, ricevute di stabilimenti balneari, terme, gallerie d'arte, gioiellerie, un caseificio e farmacie. Qualunque conto poteva insomma finire tra le spese di rappresentanza o magari l'aggiornamento professionale.
I sospetti degli inquirenti sono più che fondati e hanno trovato riscontro nelle carte sequestrate nel corso del blitz all'ufficio di presidenza del consiglio della Regione lo scorso 5 dicembre. Le prove insomma le hanno già in mano per gli anni 2010 e 2011. Ma così come avvenuto per l'Idv martedì, ieri cinque finanzieri sono tornati in Regione per prendersi anche le carte dell'anno 2012 degli altri partiti, che non sono ancora state messe nel bilancio definitivo da chiudersi entro fine gennaio.
Un blitz che questa volta ha riguardato tutti i gruppi, anche se da palazzo di giustizia trapela che i dubbi più forti si concentrano in particolare su tre gruppi politici: Pd, Pdl e Udc. I responsabili dei partiti però non ci stanno e professano la loro assoluta correttezza. La butta sullo scherzo Marco Melgrati, neo capogruppo Pdl, subentrato a Matteo Rosso che aveva aperto la legislatura e guidato i colleghi consiglieri: «Sono tranquillissimo. Per quanto mi riguarda, i soldi del gruppo sono stati spesi nel rispetto di quanto previsto dalla legge che regola le spese dei gruppi, cioè per attività istituzionali e politiche. Di sicuro non ho mai comprato lingerie o frigoriferi o divani. Sono sereno».
Che sia tutto a posto lo dice anche il capogruppo del Pd, Nino Miceli, anch'egli subentrato nella guida del partito a Raffaella Paita diventata assessore. «Noi non abbiamo fatto nessuna spesa strana o apparentemente inopportuna. Siamo convinti che la nostra documentazione sia a posto», è la stessa convinzione che aveva peraltro a luglio quando un'inchiesta iniziata dal Giornale e poi ripresa da altri quotidiani locali aveva sollevato la questione delle spese dei politici. «È la prosecuzione dell'azione svolta dalla Guardia di Finanza nel dicembre scorso - aggiunge Miceli - quando sono stati acquisiti i bilanci dei gruppi relativi alle spese effettuate nel 2010 e nel 2011». Appunto, la prosecuzione di quell'attività che aveva portato alla luce le ricevute decisamente poco «politiche».
Sotto la lente anche il gruppo dell'Udc, partito del presidente del consiglio Rosario Monteleone. «Siamo tranquilli. Non abbiamo nulla da nascondere - è il coro a cui si aggiunge Marco Limoncini, capogruppo dello scudocrociato -. Abbiamo consegnato tutte le ricevute del 2012. Peraltro, il bilancio dell'anno scorso deve ancora essere completato e approvato. Siamo ampiamente disponibili a verificare tutto ciò che sarà necessario ma siamo coscienti di non aver commesso errori». Preferisce non commentare invece lo stesso Monteleone, che a luglio si era rifiutato di far vedere al Giornale i dettagli dei conti e che si era detto certo che «la Liguria è una regione virtuosa». E lo diceva a ragione veduta, assicurando che il suo ufficio di presidenza aveva valutato le spese dei colleghi e non ci aveva mai trovato nulla di male. «Cosa vuol dire che i costi non sono congruenti?», prova a prendere tempo. Poi, di fronte agli esempi di spese assurde riscontrate dalla finanza e dalla procura, sceglie il no comment: «Su queste cose non voglio rilasciare dichiarazioni - taglia corto -. Ha tutto in mano la magistratura nella quale abbiamo piena fiducia. Aspettiamo di vedere cosa emerge».
E proprio dopo il blitz del 5 dicembre, qualcosa inizia a emergere.

In particolare, anche alla luce delle notizie trapelate dagli uffici giudiziari, emerge che far pagare alla Regione (cioè ai cittadini) il cibo per gatti, le mutandine, le ricevute della Spa o degli stabilimenti balneari, i vini francesi, le macchinine o i bottoni era un'abitudine diffusa. Trasversale. Bipartisan. Così fan tutti, o quasi.

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