A salvare il presepe furono le popolane

Durante le festività natalizie, per le famiglie genovesi, è sempre stata, ieri come oggi, una tradizione d'obbligo la visita ai presepi della città. Una tradizione che va ricercata nella antica cultura verso le rappresentazioni della Natività che hanno fatto di Genova, pari forse alla sola Napoli, uno dei centri più attivi nella produzione di figure da presepe nel periodo storico che va dalla prima metà del Seicento sino ai primi decenni del Novecento. I grandi artisti genovesi seicenteschi furono sensibili al tema della Natività e ci hanno lasciato opere straordinarie che contribuirono certamente, sia nel popolo, sia tra i religiosi, sia tra le famiglie della nobiltà cittadina, a desiderare per le loro chiese, le loro case o i loro monasteri, quadri e sculture con soggetti relativi al Natale. Spesso si trattava di piccole sculture che, collocate in una idonea ambientazione, ricreavano quel presepe che San Francesco aveva per primo rappresentato nella grotta di Greccio.
Notizie precise su queste rappresentazioni le troviamo a partire dai primi anni del Seicento, quando in Santa Maria di Castello troviamo attiva una Compagnia o Confraternita del Presepio, che aveva sede in una cappella della stessa chiesa intitolata a San Giuseppe ed al Natale di Nostro Signore.
Ben presto l'illustre scultura in legno divenne la prima protagonista e proprio coi nomi più illustri, come Maragliano o Navone. E la grande pittura di Fiasella o del Grechetto propose i modelli di immagini cui ispirarsi. In tale contesto si delineò il presepe genovese con le sue caratteristiche più salienti e per merito soprattutto della scuola dell'intaglio del legno, sviluppatasi appunto nell'entourage di Anton Maria Maragliano. Non abbiamo documentazione alcuna che possa attestarci l'esistenza di figure per presepe di questo grande scultore, è tuttavia molto verosimile che nella sua bottega si fosse sviluppata, ad opera dei tanti allievi, una produzione di statuine; lo testimoniano i numerosissimi esemplari conservati nei musei e nelle chiese genovesi che denunciano una derivazione dai modi del Maragliano. Dal XVIII secolo il Presepe iniziò a diffondersi anche nelle case dei patrizi genovesi sotto forma di «soprammobili» o di vere e proprie cappelle in miniatura.
Con il Settecento si diffuse la produzione di statuine non più scolpite a tutto tondo, bensì di manichini articolati, parzialmente scolpiti e rivestiti con abiti di tessuto. E sono proprio questi manichini le più numerose testimonianze odierne degli antichi presepi. In questi presepi, oltre al lavoro delle scultore possiamo pertanto apprezzare quello di chi confezionò i vestiti, come pure quello di argentieri e orafi che, in particolare per le figure dei tre re Magi con i loro doni, realizzarono splendide miniature e filigrane. L'occupazione napoleonica a Genova con le conseguenti chiusure dei monasteri e il declino che l'occupazione provocò nel patriziato genovese, fece scomparire molti tra i più facoltosi committenti delle opere d'arte, ma non venne meno nella cultura popolare la tradizione del presepe. Ed ecco allora che nell'Ottocento si diffonde la fabbricazione di piccole statue, per lo più nella economica terracotta, destinate alle case della gente comune, produzione favorita dalla presenza di ceramisti con antica tradizione. Nascono pure nel savonese i cosiddetti «macachi», frutto di una lavorazione popolare e realizzate dalle donne che lavoravano nelle fabbriche di terraglie.

Esse, per accrescere la misera paga, portavano a casa l'argilla necessaria a confezionare dei piccoli coni atti a sostenere le statuine nel forno in fabbrica. Con gli avanzi di questa argilla, che era loro concesso di tenere, costruivano artigianalmente in casa le piccole statuine.

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