George Orwell e il suo mondo distopico. In scena arriva lo psicopotere di "1984"

Una pièce tratta dall'omonimo romanzo. Regia firmata da Nicoletti, vincitore del Premio Enriquez. Tra i protagonisti Violante Placido

George Orwell e il suo mondo distopico. In scena arriva lo psicopotere di "1984"
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Girano, nei teatri italiani, due classici del pensiero distopico, «Il fuoco era la cura», tratto da «Fahrenheit 451», scritto da Ray Bradbury, nel 1953, visto nella riduzione del Teatro Sotterraneo, e «1984», scritto da George Orwell, nel 1949, che debutta al Teatro Carcano da domani a domenica, con la regia di Giancarlo Nicoletti, protagonisti: Violante Placido, Ninni Bruschetta, Woody Neri. A dire il vero, mancherebbe all'appello «Il mondo nuovo», scritto da Aldous Huxley, nel 1932, che può ritenersi il modello degli altri due, avendo, per primo, trattato il tema distopico, ovvero, di come si potesse organizzare l'utopia in una società disumanizzata.

Se Bradbury ci spiegava come le società sarebbero migliori senza cultura e, pertanto, senza libri, che erano da bruciare, Orwell ci propone la Società del Grande Fratello, quella dello psicopotere, capace di controllare le idee, per arrivare al pensiero unico. Come si vorrebbe fare nella nazione Oceania, inventata dall'autore e governata, appunto, dal Grande Fratello; da colui che tutto vede, essendo, i suoi occhi, nient'altro che delle telecamere, sempre in funzione, che spiano, non solo dentro le case della gente, ma anche dentro i pensieri di coloro che le abitano. In questa società distopica nulla sembra, apparentemente, proibito, se non l'atto del pensare, facendo ricorso alla paura, la sola capace di mettere l'uno contro l'altro, permettendo la proliferazione di delatori e di spie. Se una volta bastavano le telecamere, oggi il controllo è di tipo digitale, come ci riferiscono le recenti cronache sulle raccolte dati di politici, magistrati, uomini e donne dello spettacolo, industriali.

Orwell è stato un profeta nell'anticipare la rappresentazione impietosa di una società dove non esistono più i concetti di libertà e di verità, neanche quella relativa, essendo tutto, sottoposto a un potere nascosto, a suo modo, servile e corrotto. Giancarlo Nicoletti, che ha vinto il Premio «Franco Enriquez» per la regia di questo spettacolo, ne ha fatto una messinscena imponente, utilizzando l'invenzione scenografica di Alessandro Chiti, avvalendosi di video proiezioni, di telecamere a circuito chiuso, con l'ausilio di effetti speciali, grazie anche ai disegni-video, alquanto visionari, di Alessandro Papa, oltre che ai costumi particolari di Paola Marchesin e le suggestive luci di Giuseppe Filipponio.

Un bel lavoro di complesso, quindi, che sembra voler dire che, se di distopico bisogna parlare, è giusto farlo anche vedere. Sia ben chiaro, non si tratta di un puro artificio, perché dietro l'apparato tecnologico c'è un consapevole apporto ideologico; dato che, il mondo prospettato da Orwell, è stato quello della deriva comunista, oggi diventata una deriva post-ideologica.

Che, a suo modo, va alla ricerca di una nuova forma di dittatura, quella Hi-tech, dei media, dei social, dell'intelligenza artificiale, degli algoritmi, del nuovo Grande Fratello, quello digitale; della dittatura tecnologica, insomma, di tutti quei mezzi utili per limitare le nostre libertà e avvolgerci nella Rete, accompagnandoci, sotto scorta, nella nostra vita quotidiana. Magari pensando a come potrebbe essere in un imminente futuro.

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