Germania, la grande coalizione non era da buttare

Le elezioni tedesche si sono concluse con un risultato inequivocabile sia dal punto di vista numerico, sia da quello politico. Ma un’analisi approfondita può condurre a conclusioni meno scontate. Per noi esponenti del centrodestra sarebbe semplice sottolineare il successo dei partiti tedeschi nei quali ci riconosciamo, ed evidenziare la sconfitta della Spd.
Manifestare la giusta soddisfazione per un risultato che ci conforta e che conferma la scelta prevalente dei principali elettorati europei, orientati a dare fiducia a governi di ispirazione liberale e riformista, non ci deve indurre tuttavia ad esprimere giudizi affrettati. Le elezioni tedesche hanno confermato innanzitutto la popolarità e il carisma personale di Angela Merkel, rivelando il valore della leadership nella politica moderna. Gli elettori hanno premiato le qualità della Merkel e hanno voluto metterla a capo di un governo ancora più forte e coeso di quello precedente.
Altri due elementi vanno presi in esame. Il primo è la sonora sconfitta della socialdemocrazia tedesca, vittima, da una parte, del proprio senso di responsabilità e, dall’altro, da una crisi che investe l’intero campo socialista democratico europeo. Il secondo, ridondante ed evidentissimo, è il successo del Partito liberale guidato da Westerwelle: il che non solo conferma l’orientamento dell’elettorato verso le formazioni liberali del centrodestra, ma premia anche il coraggio, l’originalità e la forte personalità di un leader anomalo, accusato di essere poco incline alla vetusta etichetta di una politica ingessata, ma capace di entusiasmare e di convincere la gente comune. Questi aspetti, confusi dalla sinistra italiana (e non solo) con forme di «populismo», sono in realtà fondamentali per il linguaggio politico moderno, perché avvicinano le persone, mai come ora attente e informate sui fatti e sui progetti dei partiti, ai rappresentanti che decidono di votare.
La sinistra non ha capito che la politica è cambiata, che il distacco fra il «palazzo» e la gente non c’è più o è molto ridotto, che il linguaggio con cui rivolgersi all’elettorato deve essere insieme concreto e fruibile, e, perché no, simpatico e originale. Il linguaggio dei partiti di sinistra è rimasto invece paludato e polveroso, gli slogan non hanno più presa, non c’è più la netta divisione nel voto data dalla caratterizzazione sociale degli elettori, e questo perché i partiti cosiddetti «moderati» hanno saputo interpretare meglio di quelli di sinistra - addirittura in un momento di crisi che avrebbe dovuto avvalorare le tradizionali tesi della sinistra sulla crisi del capitalismo - i bisogni, le speranze e le aspirazione delle classi popolari, operaie, insomma di quella che nel corso del 1900 è diventata una «piccola borghesia» proletaria, per usare un neologismo illuminante.
Accanto al successo dei liberali e di Angela Merkel e al tracollo della Spd, va poi posto, come ultimo tassello, il successo oltre le attese della sinistra massimalista della Linke. Anche se la sinistra antagonista di Lafontaine non può essere paragonata al radicalismo comunista italiano, è evidente che le difficoltà della socialdemocrazia abbiano spinto una parte dell’elettorato di sinistra, deluso e disorientato, verso partiti che - come ha osservato giustamente Battista - offrono una risposta al problema della rappresentanza anche se non del governo. Il problema - non solo tedesco - è che questi partiti sono per loro stessa natura «antagonisti», ma non adatti a governare, come ha dimostrato da noi l’ultima disastrosa esperienza governativa dell’Unione di Prodi.
A questo punto la domanda che sottopongo alla riflessione e al confronto è la seguente: a fronte dell’indiscutibile successo di Angela Merkel e dei liberali tedeschi, e del tracollo altrettanto indiscutibile dell’Spd, è inevitabile archiviare un’esperienza comunque positiva per la Germania come quella della Grosse Koalition? E l’alleanza tra il partito di Angela Merkel e i liberali è davvero così scontata e necessaria?
Può darsi che sia così, anzi è molto probabile che sia così, anche perché questo esito lo hanno determinato innanzitutto gli elettori. Tuttavia a me sembra che si profilerebbero non pochi problemi dalla separazione tra la Cdu-Csu e la Spd. Il mio timore è che i socialdemocratici tedeschi rischiano di essere risospinti verso un’alleanza con la sinistra antagonista e radicale, con la conseguenza di subire una vera e propria involuzione rispetto all’esperienza di governo. Anche per Angela Merkel l’alleanza con i liberali non è priva di difficoltà.

Il Partito liberale di Westerwelle non rischia di immettere nel programma del nuovo governo un di più di liberismo nell’economia e un di più di rivendicazioni nella sfera dei diritti individuali, con un risultato forse inevitabile ma comunque discutibile? Mi rendo conto perfettamente che un governo di larga coalizione, come quello che ha governato la Germania fino ad ora, può essere giustificato solo per momenti circoscritti di emergenza e di necessità. Mi chiedo tuttavia se l’interruzione di quel tipo di alleanza non avvenga troppo presto rispetto alla maturazione di novità più durature e convincenti.
*Coordinatore del Pdl

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