di R.A. Segre
Alle 14 ora israeliana, dopo la riunione settimanale del governo presieduta dal premier dimissionario Olmert, il suo ministro degli esteri Tzipi Livni, leader del partito Kadima si è recata dal presidente Shimon Peres per restituirgli il mandato di costituire un nuovo governo. Teoricamente - ma improbabilmente - Peres dispone di 48 ore per dare lincarico ad unaltra personalità politica. Di conseguenza, come del resto preannunciato dalla Livni stessa, lelettorato sarà chiamato entro tre mesi a votare per una nuova legislatura.
A questo punto tre sono le questioni che si pongono. La prima è che Olmert resta per ancora alcuni mesi alla testa di una coalizione frantumata con pieni poteri e senza il controllo del Parlamento. Era quello a cui mirava quando tre mesi fa Barak, capo del partito laburista, lo aveva obbligato a dare le dimissioni da leader di Kadima. Abile politico, accusato di corruzione ad oggi non provata ma diventato capro espiatorio per gli errori dei suoi predecessori a causa della mancata vittoria contro Hezbollah nella seconda guerra del Libano, è riuscito (come spesso spiegato da questo giornale) a ottenere il tempo per tentare di portare a buon fine negoziati che potrebbero giustificarlo - se non davanti agli elettori - almeno davanti la storia. Non è detto che non ci riesca raggiungendo un accordo di principio con il presidente palestinese Abbas e dopo le elezioni presidenziali americane con la Siria. Le sue recenti dichiarazioni in favore del ritorno di Israele alle frontiere del 1967 con qualche scambio territoriale e con un sito a Gerusalemme per installarvi la capitale di uno stato palestinese con frontiere ancora non definite sono altrettanti «messaggi al nemico». Messaggi di cui il prossimo governo dovrà tener conto anche se Olmert lasciasse definitivamente la politica.
La seconda questione concerno il futuro politico della signora Livni. Prima donna ad ambire il ruolo che prima di lei solo Golda Meir aveva osato assumere, il fallimento del mandato governativo non è un successo per questa avvocatessa che allinfuori della sua fama di incorruttibilità non vanta lunga esperienza politica. Deve ora affrontare la concorrenza allinterno del suo partito dellex ministro della difesa di Sharon, Mofaz, più accetto ai coloni e agli israeliani di origine orientale. Rifiutando di piegarsi al ricatto dei religiosi ortodossi ha allargato il suo sostegno nell'elettorato laico diviso però fra destra e sinistra dalla questione di Gerusalemme .
Sulla terza questione , vitale per Israele nessuno ha controllo: dipende da chi sarà il presidente degli Stati Uniti; dallimpatto della recessione mondiale sull'economia locale; e da come interpreteranno e cercheranno di sfruttare queste elezioni Hamas a Gaza, Hezbollah nel Libano e la Siria. Solo una cosa è certa in esse si parlerà molto del pericolo nucleare dellIran ma non si farà nulla contro di esso.
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