Giornalismo addio: don Michele punta sulla telenovela

Il giovedì sera tutti da Santoro. Forse ha ragione Dagospia quando dice che la regina delle telenovela italiane è Annozero. È la nuova televisione, dove il falso e il vero non hanno più confini. È il racconto che conta. L’obiettivo è dettare a tavolino l’unica verità possibile. È la storia ufficiale ridisegnata con la tecnica della fiction, con quell’atmosfera un po’ bulgara o tardo Ddr. Santoro è come il protagonista di Good Bye, Lenin, ricostruisce case, vicoli e palazzi della vita prima della caduta del Muro. Lì, nel film, la finzione era un paracadute per salvare la madre, rimasta in coma per 20 anni, da uno choc emotivo. Qui serve a rassicurare tutti i nostalgici del Novecento, lasciando in coma la sinistra. Tutto poi viene miscelato, in una cattiva imitazione dei romanzi postmoderni di Thomas Pynchon, con pezzi di reality, varietà, domenica sportiva, predicozzi e teatro dei pupi. L’Italia trasfigurata in un feuilleton ideologico, dove il reale affoga nell’immaginario.
C’è l’intervista con il testimone che svela l’ultima grande verità nascosta, come Martelli che dice «Borsellino sapeva». C’è il coro popolare di Sandro Ruotolo, che crea l’effetto da tragedia greca. Il coro commenta, il coro dice la verità, il coro è l’anima della città che piange, si lamenta, dice sì sì con la testa, fa la faccia triste, bestemmia, si rappresenta. Facce e maschere mai neutrali, scelte con cura per dare peso al dramma. Il coro denuncia, Travaglio scomunica. È l’uomo del bene e del male, il sacerdote dei verbali, l’archivista sacro, il telemoralista che giudica i vivi e i morti. Il suo verbo è la verità assoluta. E così ogni tanto ti capita di discutere con qualcuno che come arma finale usa l’ipse dixit. L’ha detto Travaglio in tv (il documento ufficiale si può scaricare su youtube). Ma il pubblico ha anche bisogno di sangue, azione, polvere, colpi bassi e smargiassate. Ecco allora i duelli in studio, la giostra dei contendenti, che si sfidano di maglio e spada, riconosciuti come campioni di wrestling. L’arbitro non è imparziale. E se ne vanta. La partigianeria è un marchio di fabbrica. Manca l’ultimo ingrediente. Serve un cattivo. È Berlusconi.
La formula Santoro vale almeno cinque milioni di spettatori, come l’altra sera, quasi come Don Matteo. Il giovedì è il giorno della sorpresa. Berlusconiani e no, ignavi e repubblichisti, quelli che vogliono sparare al premier e quelli che sono stanchi di vederlo sputtanare, le casalinghe in astinenza da Un posto al sole e gli ultimi intellettuali in overdose da guerra civile stanno lì a santificare o maledire. Santoro è una droga. Chi lo odia non riesce a spegnere la tv, chi lo aspetta come un oracolo senza di lui si sente naufrago, costretto a vivere un presente che non riconosce. E lui, il conduttore, non ha ancora deciso se è meglio stare in tv come «io narrante» della più grande telenovela italiana o sublimare se stesso nel più grande di tutti i martiri, l’esilio bulgaro dal video.
L’ultima puntata si è chiusa con un pezzo di teatro dell’assurdo. Titolo: Il giallo della telefonata perduta. Santoro annuncia una telefonata di Berlusconi: «Indovinate chi ha chiesto di intervenire?». Chiama un ultimo giro di interventi degli ospiti in studio. Ma niente.

Partono i titoli di coda: «Se il premier chiama ditegli che siamo in camerino». Il giorno dopo Berlusconi nega di aver visto Annozero. «Mi spendo in telefonate più divertenti». Chi è stato allora a chiamare? Un sosia? Cosa è successo davvero? Chi sa e non parla? Il seguito alla prossima puntata.

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