Giovanni Agostino da Lodi e i "sacri" committenti

Spunta un'opera riconducibile al più originale dei leonardeschi. Con un suo marchio di fabbrica

Giovanni Agostino da Lodi e i "sacri" committenti

Incombe la Madonna immersa in un paesaggio montuoso, nel bellunese, tra Bribano e San Gregorio nelle Alpi, dove il pittore si recò in uno dei primi anni del nuovo secolo. Non sono lontani i luoghi della infanzia memorabile di Tiziano, montagne alte e splendenti, tutt'intorno. Lei, la Vergine, imperturbabile e assorta, sembra sorgere dal centro della Terra, e devota prega il creatore distratto. È accampata, nelle sue vesti di seta, per la più solenne delle celebrazioni, con San Gerolamo, vecchio e selvatico, e una giovane Maddalena di campagna che le somiglia come una sorella. Stanno fra le montagne, protetti e isolati. È un momento di grande concentrazione e preghiera; ed è una rinnovata vergine delle rocce, ma non quelle misteriose rocce, con grotte da speleologi, cavità che si aprono sullo sfondo, mostrando vedute di speroni rocciosi e blocchi di rocce irte, che sfumano in foschia, sotto un cielo cupo, quasi notturno, con l'incombere minaccioso della montagna segreta. Qui tutto è luce, e le montagne sono vere montagne, il paesaggio è reale e non minaccioso e misterioso. Le rocce sono del tutto simili a quelle delle due mirabili tavolette di Madrid (Paesaggio con Pan e Siringa e Paesaggio con Ladone e Siringa, Museo Thyssen-Bornemisza), e aprono, con una personalissima visione, a un nuovo, più realistico interesse per il paesaggio, in dialogo con Dürer, Giorgione e Lorenzo Lotto.

Eppure il pittore a Leonardo continua a pensare, e la sua Vergine di Leonardo è figlia, e ha i tratti della Gioconda, di quel tipo femminile con la fronte alta e l'espressione vaga come in tutti gli allievi di Leonardo che ne evocano i tratti e l'umore. E nessuno più di lui, che accompagna il maestro nel 1499 di ritorno da Milano verso Firenze, con una sosta a Venezia. Degli amatissimi allievi milanesi, è lui, Giovanni Agostino da Lodi, che gli è vicino nel viaggio. E la ragione è nella sua esperienza, nell'aver lavorato e vissuto a Venezia prima di essere attratto a Milano dal magistero di Leonardo, cui si lega dopo aver seguito con curiosità Bramantino.

Identificato dal Malaguzzi Valeri nel 1912, attraverso i due Santi Pietro e Giovanni, alla Pinacoteca di Brera, che recano la sua firma, uscendo dall'anonimato dove le sue opere stavano sotto l'etichetta di «Pseudo Boccaccino», Giovanni Agostino si incontra nel 1492 a Murano, nella Pala dei barcaroli per la chiesa di San Pietro Martire. Lo sappiamo da un documento, datato 25 marzo 1492, relativo a un accordo, già stabilito a voce il 9 novembre 1491, fra i «barcaroli del traghetto», proprietari del dipinto, e i padri agostiniani di San Cristoforo dell'isola omonima per la costruzione del loro altare nella chiesa. La commissione ufficiale dovette seguire di lì a poco. Primo, importante incarico pubblico di Giovanni, la Madonna col Bambino in trono fra i Santi Giovanni Battista, Ambrogio, Agostino e Giorgio dichiara una formazione milanese avvenuta con Donato Bramante, Bramantino, Leonardo e Giovanni Antonio Boltraffio, calata naturalmente nella cultura veneziana di Antonello da Messina, di Giovanni Bellini e di Alvise Vivarini. Primo esempio, dunque, di convivenza fra la tradizione veneta e le nuove esperienze prospettiche del Bramantino, l'opera è preziosa perché attesta la presenza dell'artista a Venezia in anni precedenti il 1500.

Facile è rivederlo in quella data nitidamente impressa (MCCCCC) nella Lavanda dei piedi delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, così esplicitamente leonardesca, che pare uscita dalla stanza accanto al Cenacolo di Santa Maria delle Grazie a Milano. Leonardo sfiora Venezia, la tocca, Giovanni Agostino resta, rimane in laguna, e lo rappresenta, lo diffonde, lo tiene vivo. E prosegue il suo dialogo con i maestri veneziani, cui mostra alcuni misteri leonardeschi. Al naturalismo di Leonardo, Giovanni Agostino accorda una inedita visione paesaggistica aperta, la cui origine è in Giovanni Bellini e in Giorgione, e certamente, nel caso del Matrimonio mistico di Santa Caterina e donatore (Venezia, sacrestia della chiesa di Santo Stefano), anche di Boccaccio Boccaccino. Le figure, impostate a piramide sul primo piano, lasciano libero lo sfondo mentre emergono i realistici ritratti dei donatori. Sono «sacre conversazioni» a mezza figura, concepite nello stesso tempo e con la stessa destinazione: l'uso devozionale privato, come documenta l'acquisto a Venezia il 14 dicembre 1504 di un quadro di Giovanni Agostino, pagato 5 ducati d'oro dal gentiluomo bresciano Giovanni Paolo Averoldi.

È questo forse il dipinto di cui stiamo parlando con l'emergente e parlante, nella cruda verità dell'espressione, committente, prossimo al disincantato bambino con la sua piccola balia; uno schema molto simile a quello della Madonna con il Bambino tra due devoti (Napoli, Galleria nazionale di Capodimonte), della Madonna con il Bambino, un donatore e due angeli (Venezia, Pinacoteca di San Lazzaro degli Armeni), della Madonna col Bambino e un angelo (Gazzada, presso Varese, Museo di Villa Cagnola), della Madonna con il Bambino tra i ss. Giuseppe e Lucia (Berlino, Gemäldegalerie), dell'Adorazione dei pastori con l'angelo che suona il liuto (Allentown, PA, Allentown Art Museum), assoluto capolavoro, con il quale Giovanni Agostino miscela, nel nome di Leonardo, le influenze di Giorgione (Natività Allendale, Washington, National Gallery) e di Francesco Francia (Francesco Raibolini; Natività Bentivoglio, Bologna, Pinacoteca nazionale), collegando Venezia, Milano e Bologna.

A tutto questo si aggiunge la pronta ricezione della presenza italiana, a Venezia e a Bologna di Albrecht Dürer (1505-07). Come osserva Lucia Simonetto, e si avverte pienamente nel dipinto che qui si illustra, le sue opere «sono all'origine di quell'esplosione di cromatismo, di quella monumentalità di impianto delle figure avvolte in voluminosi drappeggi e di quelle stravaganze anticlassiche - elementi fra i più tipici del linguaggio di Giovanni - visibili nel Trittico di Bribano (Belluno, Museo civico), che deve essere disancorato da quel 1502, anno della consacrazione dell'oratorio dei Ss. Nicolò e Rocco per il quale era stato eseguito, e più convincentemente avvicinato al 1506 circa».

Nella Maternità ora apparsa, il bambino è piccolo, quasi nascosto e protetto da una piccola santa, quasi nana, che si insinua fra lui e il prepotente committente, che emerge con la testa da terra e quasi lo tiene in braccio. Ne esce un terzetto sorprendente e originalissimo, che scava uno spazio sottoterra, da cui si genera la luce del mondo che la Vergine adora. Mai si erano visti un committente così perentorio e un bambino così poco in vista e distratto, come disturbato, con i cosciotti più parlanti degli occhi, sotto il controllo di una santa contratta.

Ai lati i due santi, di postura e formato regolari, vigilano, protetti sotto la chiostra dei monti. Difficile trovarne un altro, fra i leonardeschi, più originale di Giovanni Agostino, in equilibrio fra Venezia e Milano, irrequieto pendolare!

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