Giovanni Arpino, il Principe di Piemonte

«... non c'era argomento che rifiutasse: dall'editoriale di costume all'elzeviro letterario, al ritratto del grande attore o della grande attrice - ma anche di quelli piccoli che ci hanno lasciato prima di lui: Arpino li conosceva tutti - alla nota di calcio, in cui si fingeva quasi anti-juventino, e forse credeva di esserlo davvero. Credeva anche di essere anti-piemontese perché ogni tanto sul Piemonte sputava. Ma sputava sangue, come la volta che fu scoperto l'imbroglio del vino al metanolo. «Che lo abbiano fatto - ululava - i veneti, i toscani, i pugliesi, chiunque, passi... Ma i piemontesi... Per i piemontesi non basta il plotone di esecuzione, ci vuole la forca!». (...) Dovunque entrasse - in un salotto, o in redazione - entravano con lui la luce e il calore. A quasi sessant'anni, aveva ancora conservato un certo spirito goliardico, ma corretto da un'eleganza da Settecento francese. Aveva la battuta tagliente, l'aforisma pronto, l'immagine pittoresca e spesso un po' barocca: tutto il contrario dello scrittore Arpino, quale appare nei suoi romanzi. (...) Tanto l'Arpino giornalista - per non parlare di quello conviviale - era torrentizio e sfrenatamente abbandonato alla felicità dell'improvvisazione, quanto il narratore è sorvegliato e incontentabile nella ricerca dell'essenziale. (...) Non tenterò nemmeno di rimpiazzare Arpino.

Prima di tutto perché di un jolly come lui non esiste nel mondo l'equivalente. E poi perché ci sono delle creature che riescono a riempire la nostra vita col loro vuoto. Arpino era una di queste».Indro Montanelli - 11 dicembre 1987

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