nostro inviato a Valdobbiadene
Caro diario, è già difficile esprimere concetti sensati e compiuti da qualunque luogo, non parliamo da Valdobbiadene. Qui tutto parla, inevitabilmente spesso straparla, di prosecco. Le bollicine divine producono inevitabili effetti sulle personalità più fragili, ma anche sulle più resistenti. Persino sugli astemi. Perché l'effluvio di questo nettare è diffuso nell'aria. Forse è meglio prendere appunti veloci, perché dopo tanti brindisi la giornata si presenta ordinata come un puzzle appena caduto sul pavimento.
Allora: se non ricordo male, c'è il bis di Petacchi, cioè la conferma che Petacchi è di nuovo il primo velocista al mondo. La rivincita di Trieste, dove già aveva infilzato il giovane Cavendish, in questo caso non c'è, perché il ragazzino stavolta resta attardato dopo una caduta di gruppo a dieci chilometri dall'arrivo. Parentesi: può succedere, ma succede più spesso a chi non corre davanti. Guarda caso, Petacchi corre sempre in testa, anche in salita, per cui alla fine gli è facile strappare al giovane sia la tappa che la maglia rosa. Cin cin Petacchi. Hep.
Che altro? Con questo Petacchi in più nella sua storia, adesso il Giro va in montagna. Sempre se non ricordo male. Subito salita alla quarta tappa, come non è mai successo. Stavolta succederà per via di questa scelta stranissima, che vuole celebrare in modo eccentrico il Centenario. Saranno due giorni di mezze Dolomiti, in senso ciclistico: prima San Martino di Castrozza, poi Alpe di Siusi. È meglio che la gente non si aspetti granché. I più forti dovranno essere tutti lì: se qualcuno non ci sarà, faremo bene a non considerarlo così forte.
Caro diario, la verità è che ci stanno confezionando un grande pacco. Rosa, molto infiocchettato, ben pubblicizzato: ma pacco resta. È il Giro più storico ed è il Giro meno montagnoso di sempre. Già erano poche sulla carta, le mitiche cime, adesso che poi la neve ha fatto sparire anche l'Izoard e il Blockhaus, sono praticamente inesistenti. Anche sotto gli effetti celestiali del Prosecco, non riusciranno a farci credere che quelli di San Martino di Castrozza e dell'Alpe di Siusi siano tapponi. Mi rifiuto di scriverlo, questo vocabolo: non voglio profanare le tue pagine, così dense di tapponi veri, quando davvero li facevano.
E già che ci sono, perché in vino veritas, la dico fino in fondo: per me il Giro dei cent'anni non si deciderà in montagna. Ma al mare. Precisamente quello ligure, alla dodicesima tappa. Quel giorno, gli stessi organizzatori dal braccino corto con le montagne, propongono una colossale cronometro di sessantadue chilometri alle Cinque Terre. Fai un po' tu. Sulle ridicole montagne rimaste (siamo al punto che ci presentano il Vesuvio, penultima tappa, come un mezzo Mortirolo), i big si infliggeranno al massimo qualche manciata di secondi. In quella cronometro, i distacchi si peseranno a chili. Perché, tutto questo? Io una risposta ufficiale non l'ho. Ma se dico che un Giro così è perfetto per Armstrong, nessuno può darmi dell'ubriaco. Neppure a Valdobbiadene.
Caro diario, questo americano sta scatenando moltitudini di popolo e ottimi incassi pubblicitari. Invitarlo qui è sicuramente una scelta grandiosa. Per farcelo venire, andava invogliato. Mi pare però si sia un po' esagerato: oltre alla passatoia rossa, gli hanno concesso autista, limousine e pure il centro benessere. Mi consola soltanto una sensazione: non mi sembra che lui sia poi così in grado di mettersi in tasca il Giro su misura. Non so, forse sono un po' annebbiato per ovvi motivi, ma questo Armstrong di ritorno mi sembra lontano parente, un cugino in seconda, dell'Armstrong che ho visto per sette anni consecutivi vincere il Tour. Più grosso, più goffo. Ovviamente, più vecchio. Lo ripeto: è solo una sensazione. Ha sempre la stessa grinta, la stessa personalità, guarda caso è già il primo dei favoriti.
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