Giuliano di Roma, il paese della... Speranza

In provincia di Frosinone (malgrado il nome) è famoso per una Madonna. E per gli gnocchi

Renato Mastronardi

Un poco in disparte, quasi avesse in gran dispetto la catena dei monti Lepini, Giuliano di Roma, in provincia di Frosinone, segna lo spartiacque tra la valle del Sacco e quella del fiume Amaseno. L’origine più antica del suo toponimo è quella che si rifà al medioevale Castrum Juliani. Tant’è che le prime testimonianze della sua esistenza si trovano nelle «Cronache di Fossanova», una rassegna di vicende locali che hanno tramandato i giorni fasti e nefasti dei piccoli centri che gravitano nella quasi totalità della bassa Ciociaria. E, infatti, secondo il racconto dell’anonimo cronista cistercense, anche Giuliano - soltanto dopo l’Unità d’Italia gratificato dall’apposizione di Roma - già appena nato, nel 1125, cominciò a subire crescenti saccheggi da parte, specialmente, di quelle truppe che, tra Campagne e Marittima, determinarono anche trasmissioni di feudi e signorie: prima dei Ceccano, poi dei Caetani, quindi dei Colonna. Ma, anche nel corso dei secoli successivi, la travagliata esistenza del piccolo borgo patì meno sventure. Basta ricordare, per esempio, che, persino dall’inizio dell’Ottocento, la piaga del brigantaggio, tra le selve del monte Siserno, trovò ampie occasioni di ruberie, sequestri, aggiotaggi e rivendicazioni di taglie. Tant’è vero che a un certo punto i giulianesi risolsero di raccomandarsi alla Madonna della Speranza, alla quale dedicarono un frequentatissimo, anche oggi, Santuario. La ricetta si rivelò propizia: Giuliano raggiunse uno stato di tranquillità e di sicurezza che ancora dura.
Da vedere.
Grotte, chiese, palazzi. Il paese nella sua parte più antica, si presenta con una chiarissima e suggestiva impronta tardo medioevale e con un complesso di case e palazzi sorti in modo abbastanza regolare attorno alla sommità principale del borgo. E, proprio nel centro storico si eleva la settecentesca Chiesa di Santa Maria Maggiore. Il tempio conserva copie di celebri pittori (Solimena, Sebastiano Conca e Saraceni), un bel coro ligneo e un organo del XVII secolo. In questo contesto, tra le costruzioni più interessanti, si ammira il Palazzo Narducci con il suo elegante portale neo-classico. Un luogo del tutto particolare è quello che rievoca le storie o le leggende dei briganti. Si tratta delle due grotte, la «Barbona» e quella «Del Corvo» ancora protette e nascoste dai folti lecci del monte Siserno.
Da mangiare e da bere.
Oggi, la tradizione agricola e pastorizia è un poco scemata per la calata dei giovani alla ricerca di un salario più comodo e più sicuro presso le numerose industrie che sono sorte nelle zone industriali di Frosinone e di Ceccano.

Tuttavia, la gastronomia del luogo è ancora quella, genuina e antica, di una cucina che non è mai morta anzi, continua a vivere «Al Fontanile» e al «Siserno», dove si possono gustare i maccaruni ai feri, una specie di fusilli fatti rigorosamente a mano e cotti ai ferri, gli gnocchi di patata, abbacchi e tacchini. E non mancano i dolci giulianesi: le «bacchette» che sono ciambelle dure e le «mofri», che sono quelli morbide con l’anice.

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