La giungla delle leggi che frena l’occupazione

M eno male che Monti doveva semplificare. Abbiamo letto Il Sole 24 Ore, che su queste cose è al di sopra di ogni sospetto, racconta le novità in arrivo, i famosi otto contratti flessibili per i giovani e francamente non abbiamo capito un tubo. E la colpa non è certo del quotidiano di Confindustria. Si diceva che sul mercato del lavoro ci sono troppe norme, troppi costi, troppe cose difficili. Perfetto. Facciamola facile. Anche se di facile non c’è veramente nulla. Anzi, qui un giovane precario rischia di sentirsi ancora più preso per i fondelli. Gli diminuiscono le tasse? Macché. Abbattono la burocrazia? Neppure. Fanno norme più chiare? Neanche per sogno. Li tutelano? Mica tanto. Prendiamo chi ha un contratto a tempo determinato. Ecco la ricetta innovativa del governo. Primo passo: aumentare il costo dei contributi. Passo secondo: diventa più rigida la disciplina del rinnovo dei contratti. L’obiettivo è rendere più difficile il lavoro a tempo determinato. Costa di più all’azienda e ha più vincoli. Il rischio è che un’impresa che vuole assumere qualcuno non pensi «prendiamolo per sempre», ma dica «dopotutto non mi serve». Insomma, il giovane precario diventa disoccupato.
Prendiamo il lavoro part-time e intermittente. Ogni volta che cambia l’orario bisogna telefonare all’Inps. Ogni volta che chiami uno a lavorare per un paio d’ore devi telefonare all’Inps. La vera speranza è che l’Inps assuma una batteria di centralinisti, magari part-time o intermittenti, così l’Inps telefona all’Inps per informare l’Inps che per mezza giornata c’è qualcuno che lavora all’Inps. Forse è per questo che lo chiamano job on call. Vince chi telefona di più.
Meglio farsi la partita Iva. Solo che anche qui in teoria tutto sembra facile, ma poi in pratica è un casino. Il governo vuole dividere i professionisti veri da quelli finti. Come si fa? Se uno lavora più di sei mesi l’anno per un’azienda è finto. Se il 75 per cento del tuo reddito arriva da pochi committenti non sei un vero professionista. E qui serve un detective per smascherare il dipendente che viene costretto a fare il professionista. L’obiettivo è chiaro: non far passare un povero salariato per un ricco titolare di partita Iva. Ma come sottolinea Il Sole l’indice di applicabilità di questa nuova norma è molto basso.
Le intenzioni del governo magari sono buone. Il guaio è che il lavoro atipico resta una giungla di contratti difficili da decifrare. I precari ci si perdono.

Cercano posti di lavoro e trovano cavilli, continuano a essere pagati poco e male, non avranno una pensione degna, pagano tasse inique per i loro redditi e se particolarmente sfigati rischiano di passare perfino per evasori. Volevano chiarezza e hanno ricevuto l’ennesima fiera della burocrazia. Eppoi dicono che uno resta disoccupato.

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