Pubblichiamo l'intervista integrale che il direttore Alessandro Sallusti ha realizzato con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ospite d'onore al «Portrait» di Milano in occasione dei 50 anni del «Giornale».
Invito sul palco una persona che per la prima volta ha dovuto dirigere i grandi del mondo, ha affrontato le elezioni europee, la formazione di un governo europeo molto complicato e molto delicato, che si trovava in un casino bestiale e quando le ho detto al telefono: «Presidente, se proprio non ce la fai, lo capiamo», lei mi ha detto: «Io sono una donna di parola, se ho detto che vengo, vengo». Giorgia Meloni è qui con noi.
«Buonasera a tutti, buonasera direttore. Grazie per questa immeritata presentazione. Mi dispiace un po', ma dobbiamo essere brevi, perché vedo tutte queste persone in piedi. Sarà che ho dei tacchi... diciamo di un certo livello, come La Russa impone e anche la mia statura, ma insomma, penso che potrebbero soffrire molto se ci dilungassimo».
Allora no, allora entriamo subito nel vivo. Una delle cose che ti invidio è che quando nasce «il Giornale» tu non eri ancora nata.
«Sì. Io sono nata qualche anno dopo la nascita del Giornale. Penso che ci fosse davvero una ragione molto importante per essere qui stasera, lo voglio dire. Ho seguito il tuo intervento, avrei potuto sottoscrivere ogni parola. Credo che la scelta fatta da Indro Montanelli nel 1974, quindi qualche anno dopo il '68, gli Anni di piombo, la scelta di far nascere una voce che fosse controcorrente era una scelta di estremo coraggio ed era una scelta non scontata. Tu citavi quando cinquant'anni fa girare con il Giornale poteva essere la ragione di un'aggressione, di insulti, ma io ricordo che quando ho cominciato a fare politica - e parliamo dei primi anni '90, quindi non di 50 anni fa - se ti fossi aggirato in alcune facoltà dell'università La Sapienza di Roma con in mano il Giornale avresti ugualmente rischiato di essere aggredito e di essere insultato. Ciò non toglie che ci sono stati degli editori, ci sono stati dei giornalisti, ci sono stati dei direttori che hanno scelto di offrire al pubblico, di offrire ai lettori una cosa che è molto importante è che è la possibilità di ascoltare tutte le campane, di ascoltare tutti i punti di vista. Io non penso mai che chi compra un giornale lo faccia perché aderisce necessariamente al punto di vista di chi scrive. Io credo che chi legge i giornali, e cerca di leggerne diversi, lo faccia soprattutto per avere un quadro più completo delle letture possibili e quindi questo è un servizio».
La vera libertà di stampa è il pluralismo...
«Esattamente. E invece quelli che storicamente ci raccontano di essere i grandi difensori della libertà di stampa e di parola sono anche quelli che per molti anni non hanno tollerato che potessero esserci delle voci distoniche, delle voci diverse. Ciò non toglie, ripeto, che nonostante le difficoltà c'è qualcuno che questo lavoro lo ha fatto, che lo ha fatto per 50 anni, che lo ha portato fino a noi. È una storia rara, soprattutto per un giornale che rappresenta una determinata visione. Tolti quelli che sono i giornali di partito, cito Il Secolo d'Italia, è una storia rara e penso che per quella storia e per questo risultato e per questi 50 anni, per quello che ancora il Giornale ci continua a regalare noi si debba davvero dire un grazie enorme a tutti i suoi giornalisti, ai suoi editori. Quindi storicamente alla famiglia Berlusconi e adesso alla famiglia Angelucci, a tutti i suoi direttori. Compreso te Alessandro, al quale faccio i miei complimenti, e a Vittorio Feltri che non ho ancora visto ma mi avete detto che c'è. Gli mando un abbraccio enorme dal palco».
In queste ore trovo un'analogia con Montanelli, che era accasato in un bel posto come il «Corriere della Sera» in una situazione comoda e prestigiosa, e invece ha deciso di rischiare in nome di un'idea. Tu in politica hai fatto un po' la stessa cosa. In fondo stavi benissimo nel Pdl e a un certo punto hai deciso di fare come Montanelli.
«Guarda, io penso che la cosa più seria che noi abbiamo a disposizione per fare le nostre scelte sia l'istinto. Io ho scelto di non fare mai niente in cui non mi trovo a mio agio. So che questo può comportare dover lavorare molto di più, so che può comportare dei rischi, però alla fine ho sempre seguito quello in cui stavo bene, in cui mi sentivo a mio agio. Per me non c'è cosa più importante alla fine di questo percorso che poter camminare a testa alta, guardarmi allo specchio e non avere paura di quello che vedo. E alla fine ho portato avanti tutte le mie scelte così, anche quando era difficile, anche quando era doloroso, quando decisi di lasciare insieme a molti altri che sono qui il Popolo della Libertà, quando ho deciso di non far parte della maggioranza, delle varie maggioranze dei vari governi che pure mi si diceva che sarebbe stata la scelta giusta. Partecipare quando una cosa non mi appartiene: nel dubbio preferisco non farlo».
Senti, lasciami fare per cinque minuti il giornalista. I colleghi presenti e i nostri ospiti sono curiosi di sentire dalla tua viva voce il punto, sia pure sintetico e rapido, della situazione e la prima domanda che mi viene in mente è se sei soddisfatta, come leggi il risultato delle elezioni europee.
«Lo leggo molto bene. Ribadisco quello che ho detto la sera stessa del voto: per me è stato un risultato più importante di quello delle elezioni politiche, perché è un voto diverso. Il voto del 2022 poteva anche essere un voto di protesta, di aspettativa, di speranza. Dopo quasi 20 mesi di governo - tra l'altro in una situazione impossibile come quella che noi ci troviamo ad affrontare con scelte che sono spesso anche difficili, che sono scelte coraggiose - il voto degli italiani diventa un voto di conferma, un voto più concreto, più meditato. E quindi per me è stata una grande soddisfazione ed è stata una grande soddisfazione proprio perché per noi non è stato facile fare le scelte che abbiamo fatto in questa situazione complessa, in questi due anni. E questo dice una cosa estremamente importante degli italiani: che capiscono il buon senso. E oggi la lettura che secondo me la classe politica dovrebbe dare dei cittadini è molto diversa da quella che ha spesso dato. C'è una politica che pensa che quello che sembra, valga più di quello che è; che pensa che comunicare sia più importante di fare; che pensa che se menti, alla fine forse puoi andare meglio. Non è così. La gente capisc, e capisce anche le materie più complesse, vede anche quando tu sei chiamato a fare delle scelte complesse. Se le fai con buon senso gli italiani lo capiscono. Per me questo è fondamentale. Secondo, sono estremamente fiera del risultato della maggioranza, non semplicemente di Fratelli d'Italia. Ho già fatto i miei complimenti sia ad Antonio Tajani sia a Matteo Salvini per il risultato di Forza Italia e della Lega. Si dimostra ancora una volta che il centrodestra può crescere insieme, che non è vero questo racconto, che pure viene spesso fatto dagli osservatori, che se un partito andrà bene diventa un cannibale dell'altro. No, noi abbiamo lavorato per crescere tutti, per pescare in altri ambiti, nell'ambito anche di quelli che erano stati indecisi a votare. Tutti i partiti della maggioranza sono cresciuti e questo per me è estremamente prezioso. Ci si riavvicina un pochino al bipolarismo. Non potrei dire che siamo in un sistema bipolare perché nel centrodestra c'è una coalizione coesa e nel centrosinistra oggi obiettivamente non c'è. C'è un po' tutto e il contrario di tutto. Anzi, io vedo che tra il Pd della Schlein che cresce e il risultato di Bonelli e Fratoianni c'è un rischio di radicalizzazione a sinistra, mentre l'elettorato più moderato si è chiaramente spostato verso il centrodestra. Però sicuramente c'è stata una semplificazione del quadro. La morale è che gli italiani ci chiedono di andare avanti e noi intendiamo farlo con una maggiore determinazione».
Tra le cose hai citato, i problemi complicati da capire. Io ti dirò che, pur essendo un addetto ai lavori, faccio abbastanza fatica a capire che cosa stia succedendo adesso dopo le elezioni in Europa. Come stanno andando queste trattative per la formazione del governo?
«Provo a semplificare. Secondo me intanto bisogna ragionare su due diverse fasi: c'è una prima fase che riguarda l'individuazione degli incarichi apicali, che sono presidente del Consiglio, presidente della Commissione, presidente del Parlamento e Alto rappresentante. Di solito avviene tenendo conto di quelli che sono i pesi dei gruppi politici. Lì attualmente c'è un tentativo di accordo tra socialisti, popolari e liberali per cercare di sistemare queste caselle e - dirò come la penso, come al solito - non si profila il cambio di passo che era stato immaginato. Anche se per onestà intellettuale, bisogna dire che è anche frutto del risultato delle elezioni perché in Europa hanno dato un segnale di diversificazione non sufficiente a modificare completamente il quadro. Quello che io ho trovato surreale - e l'ho detto al Consiglio Europeo - è che quando ci siamo incontrati nel primo vertice informale successivo alle elezioni alcuni siano arrivati con delle proposte di nomi per gli incarichi apicali senza neanche fare la parte, come si dice a Roma, fare prima una riflessione su quale fosse l'indicazione che arrivava dai cittadini e su quale dovesse essere il cambio di passo sulle priorità. Lo dico a te perché l'ho detto al Consiglio europeo. E l'ho detto al Consiglio Europeo perché io non interpreto la democrazia così e perché penso che siano questi atteggiamenti che hanno allontanato i cittadini europei dalle istituzioni europee. Credo che si sia tentato di correre perché i protagonisti di questo tentativo si rendono conto che può essere un accordo fragile. E questo mi porta alla seconda fase, che però per me è molto più importante e che riguarda due questioni sostanzialmente. La prima: comunque vada e chiunque ricoprirà questi incarichi apicali tutti sanno qual è il ruolo che spetta all'Italia. Tutti sanno qual è il ruolo che spetta a una nazione che è fondatrice dell'Unione europea; che è la seconda manifattura d'Europa; che è la terza economia d'Europa e che ha oggi tra le grandi nazioni europee il governo più solido di tutti. È un ruolo di massimo rango che chiaramente io intendo rivendicare per l'Italia. La seconda questione è che le elezioni hanno chiaramente spostato il baricentro dell'Europa verso destra e io penso che lì si possa disegnare un cambio di passo su alcune materie, sulle priorità, sul modo di leggere alcune politiche. Penso che gli stessi popolari si rendano conto ovviamente che per loro continuare a inseguire o a seguire le politiche della sinistra di questi anni sarebbe fatale. Quindi il mio ruolo oggi è quello di organizzare il fronte alternativo alla sinistra, dialogare con tutti. Ed è quello che sto facendo. Annuncio che il gruppo dei conservatori europei è diventato il terzo gruppo per numero di parlamentari in Europa. Io mi sto occupando di questo, dialogando con tutti e aggregando. E penso che qualche sorpresa nel futuro dell'Unione Europea sulle maggioranze che si costruiranno sui vari dossier in Parlamento potrebbe arrivare».
Allarghiamo la visuale dall'Europa al mondo, che tu hai toccato con mano poche ore fa, pochi giorni fa nel G7 di Borgo Egnazia. Sei uscita più ottimista da quel G7 rispetto a temi anche drammatici?
«Ne sono uscita soddisfatta per il fatto che l'Italia è riuscita a indicare la rotta. La presidenza italiana aveva immaginato alcune priorità: governo dell'intelligenza artificiale, il rapporto con l'Africa, il Mediterraneo che per noi è fondamentale perché il nostro obiettivo deve essere quello di recuperare la nostra centralità nell'ambito del Mediterraneo, immigrazione. Al G7 in quasi 50 anni non si era mai parlato di immigrazione. E non è solo parlare di immigrazione. Abbiamo assistito in questi anni a un dibattito sull'immigrazione per cui chi voleva fermare i trafficanti di esseri umani, di migrazione illegale, era per paradosso il cattivo e chi favoriva il traffico di uomini e donne era quello buono. Ecco noi abbiamo ribaltato questo paradigma. Oggi tutti ragionano in un altro modo: è stata un'iniziativa italiana anche con risultati concreti. Perché sulle questioni della presidenza italiana in particolar modo noi siamo usciti con risultati concreti che vanno appunto dal tema degli investimenti in Africa al tema dell'intelligenza artificiale, dove bisogna tentare di trovare una sintesi tra la necessità di sviluppare l'intelligenza artificiale e il governo dei rischi. Abbiamo immaginato il tema del marchio che consente di riconoscere le aziende che sviluppano l'intelligenza artificiale tenendo in considerazione la centralità dell'uomo sulla immigrazione. Oggi c'è una coalizione per combattere i trafficanti di esseri umani seguendo l'insegnamento di Falcone e Borsellino, cioè quello del follow the money, segui i soldi, quindi andare a colpire i guadagni di questi trafficanti. E io li considero risultati molto importanti. Dopodiché come al solito ho letto polemiche di ogni genere. Ma voglio dire anche che rivendico di aver organizzato un G7 all'altezza della reputazione italiana, rivendico di averlo fatto in una regione del Sud anche per smontare i pregiudizi che fino al giorno prima dell'inizio del G7 abbiamo letto su alcuni media della stampa internazionale e rivendico di avere fatto mangiare ai leader delle nazioni presenti i panzerotti pugliesi. Sì, perché secondo me proprio nel momento in cui si organizza un evento globale, si deve sapere che noi non siamo in grado di risolvere i problemi che abbiamo se non ripartiamo dalla nostra identità, se non ripartiamo dalla nostra tradizione, dalle nostre specificità che sono quello che ha fatto la nostra civiltà. Quindi sì, volevo un borgo globale. Un borgo nel quale i leader del mondo potessero discutere di questioni globali. Sono contenta che ci siano stati le mozzarelle filate a mano, le signore che facevano le collane con i noccioli dell'ulivo, gli artigiani dell'ulivo anche per raccontare la tragedia della xylella, come sappiamo in Puglia. E penso che siccome questo è un pezzo della grandezza italiana non si potesse non fare vedere. Infatti mentre qui facciamo polemiche - perché purtroppo siamo abituati così anche quando gli altri ci fanno i complimenti - tutti gli altri ci hanno fatto i complimenti per uno dei G7 meglio riusciti della storia del G7».
Un anno fa tu mi avevi detto una frase che mi aveva colpito: Se mi fanno arrivare viva alle elezioni europee, poi si va davvero. Sei arrivata viva, addirittura straviva alle elezioni europee, come vedi i prossimi tre anni di governo?
«Intanto in questo anno e mezzo abbiamo dato il massimo ma sicuramente il segnale che arriva dai cittadini è un segnale ad andare avanti con ancora maggiore determinazione ed è quello che intendiamo fare. Ricordo che in 20 mesi questo governo ha fatto più riforme di quante non ne siano state fatte negli ultimi anni e anni, riforme coraggiose. E ricordo che dall'altra parte abbiamo l'opposizione che invece è contraria a modificare qualsiasi cosa. Gli italiani devono scegliere da che parte stare. Non penso che questa sia una nazione nella quale le cose vanno tutte bene e penso che le cose che vanno male ci si debba assumere la responsabilità di cambiarle. Quando abbiamo fatto la riforma fiscale attesa da 50 anni hanno detto che non andava bene, eravamo amici degli evasori. Quando abbiamo fatto la riforma sull'autonomia differenziata che tra l'altro è stata appena approvata hanno detto che non andava bene perché divideva l'Italia. Quando abbiamo fatto una riforma sul premierato hanno detto che non andava bene ma non s'è capito perché, perché la verità non la possono dire, cioè che non decidendo più loro nel Palazzo, ma decidendo i cittadini, allora non va bene. Quando abbiamo fatto la riforma del codice degli appalti ci hanno detto che non andava bene. Quando abbiamo fatto la riforma della giustizia non ne parliamo. Non c'è una proposta alternativa, c'è solo il mantenimento dello status quo. È un sistema di potere che si difende. Ma io non sono qui per sopravvivere, non sono qui per far finta che sto facendo delle cose. Né io, né Matteo, né Antonio. Noi siamo qui per cambiarla questa nazione. E tutte le riforme che abbiamo fatto sono riforme economiche. La riforma del fisco costruisce un rapporto completamente diverso tra lo Stato e i cittadini e dà un segnale molto importante al tessuto produttivo particolarmente. Ovvero: non disturberemo chi vuole creare ricchezza. E questo secondo me è un messaggio e infatti lo vediamo nei dati sull'economia. Dati che poi dipendono dal valore delle nostre aziende, dei loro lavoratori che però oggi forse lavorano in un clima differente. In cui non c'è uno Stato che fa di tutto per impedirti di lavorare, ma c'è uno Stato che ti cammina accanto e cerca di darti una mano a produrre quella ricchezza. Vale così per l'autonomia differenziata che è fondamentalmente una norma di responsabilizzazione delle classi dirigenti. Vale così per il premierato perché ho spiegato 100 volte come la stabilità politica e avere un governo che risponde a un mandato chiaro dei cittadini faccia la differenza. Lo vediamo oggi con un governo che è stabile la differenza che questo sta facendo. E vale per la riforma della giustizia perché segnalo sommessamente che con qualsiasi investitore internazionale io parli uno dei primi problemi che mi pone è il tema del malfunzionamento della giustizia in Italia. Il prossimo è la burocrazia che è un altro grande tema del quale bisogna occuparsi.
Noi andremo avanti con le riforme e gli italiani decideranno alla fine di questa esperienza se vogliono stare con chi difende lo status quo o con chi non vuole cambiare niente. Con chi bene o male non vuole mettere in discussione un sistema di potere o con chi tenta di fare del suo meglio per restituire ai cittadini una nazione nella quale siamo capaci di liberare le energie che ci sono».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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