
Meno di sei grandi imprese su dieci, il 58%, ha un Chief Information Security Officer, per contrastare attacchi malware, con lacune nei processi di gestione del rischio cyber. Mentre crescono gli attacchi verso l'Italia, non si diffonde infatti alla stessa velocità la capacità di gestirle. E si amplia il divario tra organizzazioni mature e non. Sono dati che emergono dal rapporto degli Osservatori del Politecnico di Milano che mette in luce il rischio cyber nelle grandi organizzazioni italiane. Il 96% dei Ciso, dove ci sono segnala un miglioramento nella sicurezza nella sua azienda, attraverso interventi tecnologi, nel 74% dei casi, e programmi di formazione, nel 63% delle organizzazioni. La principale sfida per il futuro per i Ciso secondo quanto emerge dall'indagine, è ripensare il modello operativo: il 44% riconosce che un presidio completamente o prevalentemente interno è insostenibile nel medio-lungo periodo. La seconda sfida è la maggiore automazione nelle attività di cybersecurity: oggi, il 52% delle grandi imprese ricorre a soluzioni integrate con algoritmi di AI. La terza sfida che emerge è un maggior dialogo tra cybersecurity e-business: è assente nel 40% dei casi e sporadico nel 9%, un disallineamento che rischia di amplificarsi con l'aumento delle minacce e l'adozione di nuove tecnologie. «La protezione rischia di rimanere un privilegio per poche organizzazioni.
Nonostante l'aumento degli investimenti, infatti, ancora oggi la cybersecurity viene vista in molte realtà come un'attività onerosa e c'è il rischio che sia compromessa la capacità di resilienza e risposta alle minacce», dice Alessandro Piva, direttore dell'Osservatorio Cybersecurity & Data Protection.
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