La grazia della malattia

Gli effetti di una malattia possono essere imprevedibili e, se da un lato possono indebolire una persona fino a renderla degna di pietà, dall'altro possono affinarne la sensibilità fino a intendere meglio la ragione dell'esistenza.
Un effetto benefico della malattia, anche in relazione all'esercizio del potere, si è avuto nel caso di Umberto Bossi.
Ne abbiamo avuto una prova nella posizione assunta, in contrasto con la linea prevalente del suo partito e con le determinazioni del ministro Castelli, rispetto al caso Sofri.
L'aver conosciuto la malattia ha certamente indotto Bossi ad una particolare pietà verso la malattia di Sofri e a una diversa riflessione sulla grazia.
Certamente ne avrà parlato con Castelli inducendolo ad una rinnovata riflessione ma non arrivando a convincerlo.
Si sono scontrati così due poteri all'interno della Lega, quello esecutivo e quello morale. Il primo ha negato la grazia a Sofri, conformemente alla linea già seguita, il secondo l'ha evocata. Del singolare conflitto si ha avuta notizia per l'intervento di Bossi sul direttore della Padania, per ridurre il peso politico, e morale, della decisione di Castelli.
Sembrava lontano, il leader malato, sembrava distante, ma non ha voluto che il ministro desse prova di una miopia del potere che meglio si manifesta nell'indulgenza, che nel rigore.
Stupisce invece che la sua posizione non abbia condizionato le scelte di Castelli, che ha ribadito la posizione vendicativa dello Stato, nella resistenza alla grazia.
Può essere interessante verificare, oltre che la sensibilità politica e umana di Bossi, anche la sua minore influenza sulle scelte di uomini generalmente subalterni, soprattutto in questioni così delicate.
Singolare simmetria del destino, la decisione di Castelli coincideva con il rifiuto della grazia a Stanley Tookie Williams da parte del governatore Schwarzenegger, entrambe testimonianze di una visione del potere come punizione, anche di fronte all'evidenza della sua inutilità.
Nel caso americano, il provvedimento sembrava la miglior prova della non necessità della pena la cui funzione esemplare non ha senso quando sia stato ottenuto il risultato di un ravvedimento.
Non meno grave la questione di Sofri, se si medita l'assurdità di continuare a tenere in ostaggio un corpo quando si è avuta la più ampia prova della libertà, della mente, del pensiero, di un uomo che non può essere considerato alla stregua di un criminale, in virtù di quello che ha detto e che ha scritto, a piena dimostrazione dell'innocenza del suo pensiero.
È legittimo che si presuma di poter redimere anche con uno strumento imperfetto come il carcere. Ma chi dà prova, non già di pentimento, ma di grandezza d'animo e di pensiero, in un mondo popolato di depensanti che spesso hanno un intensificato potere, non può essere giustificato senza una particolare considerazione.
È probabile che questo abbia pensato Bossi e che insieme sia stato emozionato, per condivisione, dalla malattia di Sofri.
Certo è che dev'essere rimasto sorpreso da Castelli.
Se il potere morale di Bossi non è diminuito, questa vicenda potrebbe rivelarsi molto pericolosa per Castelli.


Forse dovremmo ammettere una doppia sconfitta, prima di Berlusconi, poi di Bossi, che, convinti entrambi dell'opportunità di graziare Sofri, hanno dovuto piegare la testa davanti al capriccio di Castelli, il cui potere reale sarebbe stato dunque superiore a quello del Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio ed il capo del suo partito.

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