Greg Allman: "Sono tornato dall'inferno e ve lo racconto con un disco blues"

Il mitico leader della Allman Brothers Band dopo anni di alcol e droga e il recente trapianto di fegato, torna con l'album "Low Country Blues", splendido omaggio ai maestri neri. A Londra racconta la sua avventura e a luglio sarà in Italia al festival di Pistoia

Greg Allman: "Sono tornato dall'inferno  
e ve lo racconto con un disco blues"

Sembra una versione aggiornata di Wyatt Earp (protagonista coi fratelli della celebre sparatoria all'OK Corral) o del terribile Bill Doolin e dei fratelli Dalton (celebrati anche nell'album Desperado degli Eagles). È Greg Allman che da 40 anni imperversa con la sua banda; non usano armi ma con i loro strumenti hanno inventato un suono esplosivo - che fonde suoni tradizionali e virulente improvvisazioni elettriche - e ancora oggi tiene alta la bandiera (confederata) del cosiddetto rock sudista. Concerti da 600mila persone al colpo (numeri da record), milioni di dischi venduti, gli Allman sono una leggenda di culto.

Brani entrati nella storia come In Memory of Elizabeth Reed e Whipping Post, vita spericolata (all'apice del successo furono ricoverati a forza dalla loro casa discografica per disintossicarsi da droghe e alcool mentre Duane, fratello di Greg, è morto come l'altro pilastro Berry Oakley, ma entrambi in incidenti stradali) e un posto già acquisito nel Pantheon del rock (sono stati nominati «Leggende viventi» e alla festa del loro 40esimo anniversario hanno suonato ospiti come Eric Clapton e Buddy Guy).

Greg continua a guidare il gruppo ma ora, reduce da un trapianto di fegato (gli stravizi si son fatti sentire) è tornato dall'inferno per incidere Low Country Blues, un selvaggio cd che rinnova il blues, s'è piazzato ai primi posti delle classifiche americane e comincia a vendere bene anche da noi. Il corpo completamente tatuato con simboli sudisti e appesantito, i riflessi rallentati da una vita sulla corsia di sorpasso, Greg racconta la sua storia da personaggio di Faulkner o Steinbeck. «Siamo nati in Tennessee ma la nostra base è la Georgia. Laggiù nei '70 vedere dei capelloni barbuti, vestiti di pelle e con le Harley Davidson, provocava uno choc quale quello dell'apparizione di Elvis. Eppure noi non siamo ribelli, siamo legati alla terra e alla patria anche se il nostro comportamento è sempre stato anticonvenzionale».

Per questo qualcuno vi ha definito reazionari.
«Basta sventolare una bandiera sudista per essere considerati reazionari. Io la sventolo, ne sono fiero e credo nella famiglia e nei valori tradizionali ma non sono razzista. Piuttosto lo sono quelli che in passato ci ghettizzavano perché avevamo i capelli lunghi o perché con noi suona un nero».

Per essere tradizionalisti avete rotto parecchie convenzioni: siete famosi per la vostra musica quanto per l'uso smodato di droga e alcool.
«Pensavamo che la vita di un rocker dovesse essere vissuta pericolosamente. Era un periodo di sperimentazioni. Neppure tu sai perchè finisci nel giro della droga. Gli Allman erano e sono un gruppo aperto, condividevamo tutto, anche le cose sbagliate. Facevamo cose che ora mi fanno rabbrividire. Un giorno il pianista Chuck Leavell imbottito di cocaina stese a pugni un toro. L'ironia della storia è che mio fratello e Berry Oakley sono morti entrambi in un incidente motociclistico».

Bé ma a lei hanno appena trapiantato il fegato per gli stravizi: quindi la droga è una debolezza o una malattia?
«Entrambe le cose; ti prende per ingenuità e una volta che ti ha preso non ti molla più. Tra l'altro quando sei "fatto" suoni davvero male. Per improvvisare davvero, come insegnano i grandi del jazz, ci vuole preparazione e mente lucida. I nostri brani spesso sono una lunga jam session che ha bisogno di lucidità. Non seguiamo la filosofia dei Grateful Dead e di quegli hippie che pensavano di espandere la creatività con l'Lsd. La droga fa star male e di conseguenza suoni da cane».

Un pentimento?
«Un dato di fatto vissuto sulla pelle. Grazie a Dio sono una roccia. In giugno dell'anno scorso mi hanno trapiantato il fegato e ad ottobre ero già sul palco in un megaconcerto con... Sono uscito dall'inferno e così ho voluto ringraziare la musica del Diavolo con un disco blues».

Un tuffo alle radici per rinascere.
«Mi piace pensare che uno spiritello blues mi abbia preso per i capelli e salvato. Volevo quindi celebrare questa musica quando T.Bone Burnette, grande musicista e produttore di star, mi ha chiamto dicendomi: "ho trovato 10mila vecchi brani blues, un tesoro. Ne scelgo una ventina e ci lavoriamo sopra. Così, rinnovando Sleepy John Estes o Little Milton, è nato l'album».



E ora?
«Questo vecchio relitto parte in tour prima con gli Allman e poi con la mia band. A luglio sarò anche da voi al Pistoia Blues Festival e poi, per mettere tante cose in chiaro, sto scrivendo un'autobiografia. Sàrà la voce rock del vecchio Sud».

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