Il grigio pensiero unico che uccide la nostra civiltà

Siamo rimasti senza miti ed eroi. Per la prima volta nella storia, non abbiamo una vera visione del mondo

Il grigio pensiero unico che uccide la nostra civiltà

Ogni civiltà è animata e sorretta da una visione del mondo che si esprime attraverso alcuni miti di fondazione. La Weltanschauung è una concezione della vita in relazione al cosmo e alle cose visibili e invisibili, concrete e spirituali. Proviene dal senso religioso, attinge dall'arte e dal pensiero, si lega ai caratteri, i costumi e le tradizioni, si riconosce nella storia e si esprime in una piramide di miti. La visione del mondo funge da modello e da idea fondativa, riferimento comunitario e orientamento per la vita; è il punto di coesione di ogni civiltà, la sua koinè. Per la prima volta nella storia la nostra società sembra connotarsi per l'assenza di una visione del mondo, anzi per il suo rovescio: la globalizzazione è infatti il mondo come fatto e come processo meccanico, senza una visione d'insieme. Piccoli mondi erano nutriti da grandi visioni del mondo; il mondo globale invece sembra cieco, privo di una visione organica. Il suo principio metafisico è la libertà, il suo orizzonte è la tecnica, il suo paradigma è il mercato finanziario, la sua sovranità è l'individuo, a prescindere dalla comunità in cui è situato. La natura è revocabile, la tecnica è inarrestabile. La società globale volta le spalle a Platone, respinge un'idea del mondo, che destituisce d'ogni fondamento, rigetta (...)

(...) un pater o un paradigma, un asse o un canone di riferimento. Il pater puoi anche confutarlo e perfino ribellarti, ma è il necessario termine di confronto. La globalizzazione cresce sulla demitizzazione radicale del mondo, pur sorgendo da un mito e producendo a sua volta nuovi miti. Nella mobile rotondità della globalizzazione si perdono anche gli spigoli delle culture politiche, le categorie di destra e di sinistra, e ogni altro connotato di differenza cede il passo all'omologazione e alle provvisorie collocazioni.

Il Pensiero Unico è il riflesso della globalizzazione sul piano delle idee e dei comportamenti. Molti criticano il Pensiero Unico ma cambia secondo i punti di vista: chi lo ravvisa nel liberal-liberismo, chi nel tecnoscientismo, chi nel conformismo radical-progressista. È un puzzle, composto di più elementi, o una creatura mitologica, incrocio di più animali, che ha le zampe ferine del capitalismo, le zanne del mercato globale, gli artigli della tecnica e la mente imbevuta del codice bioetico politically correct. È il frutto di una miscela tra il dominio assoluto del mercatismo, il predominio della tecnica e del suo universo pratico-funzionale e l'assunzione del canone ideologico radicalprogressista coi suoi totem e tabù. A ben vedere non c'è pensiero ma un processo teso a uniformare le differenze, omologare lessico e comportamenti, e spegnere idee, pensieri e visioni, non solo divergenti. Per altri versi i mezzi sono elevati a scopi di vita, la tecnica come l'economia da strumento di servizio si fa regina.

È il dominio della ragione strumentale, direbbe Horkheimer; la tecnica ha come unico scopo accrescere la sua potenza, diciamo con Heidegger. La storia va fuori corso, il pensiero è disattivato, il processo scorre in automatico.

Nella società cieca, priva di visione del mondo, la prospettiva di ciascuno è nella sua feritoia o nel suo campo d'accesso alla rete; non ha più senso avere una visione generale delle cose, in rapporto alla nascita e alla morte, all'anima e al corpo, all'essere e al divenire, alla comunità e alla tradizione, ai padri e ai figli, al ciclo cosmico e a quello biologico, al senso religioso e al legame patrio. E se qualcuno si ostina a coltivare questa pretesa, deve renderla introversa, legata alla sua dimensione privata, riducendo le visioni del mondo a hobby, altarini privati o intime convinzioni. Ciascuno ha la sua collezione di figurine...

La mitologia rientra fra queste. La società non ha più un mondo comune, eccetto quello dello scambio tecnomercantile. L'unica universalità è degli strumenti tecnologici, della finanza e delle merci. Chi vuol avere visioni del mondo, diceva Max Weber, vada al cinema. Solo nella dimensione della fiction o dell'heroic fantasy, ai margini della vita o nelle pieghe del privato, è possibile coltivare visioni provvisorie. Mille visioni del mondo, private, superficiali e cangianti, a cui votare la solitudine di spettatore. Il mito si fa icona effimera o game sul display, la visione si riduce a film, figura o figurina. Il mondo sono io, e il selfie lo certifica. Si perde di vista l'intero.

Non importa qui stabilire se sia un progresso o un regresso, se sia un segno d'emancipazione o di degrado. Questa svolta trasforma radicalmente l'umano, lo modifica geneticamente. Gli Ogm post-umani, con ridotte facoltà critiche e intellettive, spirituali e morali, sostituiscono la visione del mondo con un automatismo digitalizzato. È come se si spegnessero o si staccassero i nessi e i sensori che legano il corpo alla mente, i sensi all'intelletto, gli uomini tra loro e al mondo stesso, l'anima all'apparato biologico, gli stati d'animo al paesaggio. La visione del mondo inserisce l'uomo in un contesto più grande di lui. Lo induce a osservare l'intero e non perdersi nel particulare; a riconoscere finalità superiori al puro procedere del tempo, dei corpi e delle macchine. Lo dispone alla possibilità di trascendere lo stato di cose presenti, non accontentarsi degli assetti vigenti, ma cimentarsi in imprese, proiettarsi in scenari futuri. Dalla visione del mondo sorge lo spirito visionario di chi sa vedere oltre e realizzare quel che ancora non c'è. L'utopista abolisce la realtà, oppone radicalmente la città presente e la città futura. Il visionario, invece, si sente maieuta, proteso a far divenire ciò che è, non ad abolirlo. Il mito è la sua bussola. Il visionario non cerca l'uomo nuovo, ha uno sguardo meta-fisico, va oltre ma non contro la realtà e l'umano, vede nell'idea il compiersi della realtà, non la sua negazione. È il fiore che dà frutti, è l'acerbo che matura, è la potenza che si fa atto. Ogni visione del mondo ci collega alla vita, al passato e al futuro. Non separa i fatti dal loro accadere o gli uomini dai loro impulsi momentanei, ma li coglie in un contesto, dentro un mondo e una continuità. Viceversa domina la barbarie dello specialismo (Ortega y Gasset) che perde di vista l'intero e si fissa sul settoriale.

La visione del mondo è connessione e relazione, come logos e mythos, polis e religio, amore e amicizia; genera attività spirituale, suscita il pensare e l'agire che connotano la nostra umanità. È intelligenza del reale. Dalla visione del mondo sorge la linea di confine che tracciò Dante tra i bruti e chi segue virtù e conoscenza. Anche la brutalità evolve col tempo.

Si può viver come bruti pur navigando in borsa e maneggiando l'iPad. Il bruto, nota Vico, non si muove di sua iniziativa ma è mosso, soggiace a stimoli esterni, è eterodiretto, non decide ma è determinato dai suoi impulsi o pulsanti, programmato come un automa.

Marcello Veneziani

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