Grossman: "La mia scrittura nel dolore e nella guerra"

Oltre un'ora di attesa per una dedica dallo scrittore israeliano all'Auditorium di Roma che racconta: «Dopo la morte di mio figlio aspettai sette giorni e poi ricominciai a scrivere. La scrittura non può cambiare il mondo ma lo può correggere»

Grossman: "La mia scrittura nel dolore e nella guerra"

«Quando finisco di scrivere un libro, mi chiedono spesso: Ti senti più forte adesso? E io rispondo: no, sono più debole, scrivendo voglio togliermi a una a una le mie corazze. Scrivere mi serve a squagliare il mio scudo». David Grossman è uno scrittore che si esprime con parole istintive ma precise, un intellettuale che parla con l'anima. Scherza sul suo passato da enfant prodige della radio israeliana, paragona il sesso e l'amore alla scrittura, riconoscendo a quest'ultima la capacità di addentrarsi nelle zone d'ombra che nascondiamo in chi si ama, ma sempre con una delicatezza composta, mai una parola sbagliata, come il suo modo di narrare nei libri, come la semplicità e la pacatezza con cui parla della morte del figlio in guerra e del suo Paese, Israele, mai in pace.
Per lui una lunga fila di persone ha atteso oltre un'ora ieri sera all'Auditorium di Roma una dedica in copertina su uno dei suoi romanzi: Vedi alla voce amore, Qualcuno con cui correre, A un cerbiatto somiglia il mio amore. Ospite più atteso dell'ultimo week end romano dell'iniziativa «Libri come», l'autore israeliano ha raccontato la sua esperienza di scrittore e di lettore, le debolezze e l'insicurezza del suo mestiere, che ha tentato di non lasciare nemmeno dopo la morte, nell'ultima guerra in Libano, del figlio Uri: «Dopo il settimo giorno di lutto ripresi a scrivere. Mi dicevo: ma cosa stai facendo? Tu ti stai concentrando su una parola, cerco di capire se è meglio questa o un'altra, ma fuori di qui c'è un mondo che tu non puoi cambiare. Ma poi proprio lo scrivere, il correggere ogni singola parola fino a renderla precisa, mi fece sentire che stavo facendo qualcosa di buono». Questo è il modo di agire sulla vita e su quello che è più grande di noi: «Il mondo non lo possiamo cambiare, ma lo possiamo correggere».
La vocazione della scrittura, nel dolore e nella guerra, per un autore che non ha mai «conosciuto la pace», è proprio la correzione e la cura di ogni singola parola e quindi di qualcosa che va molto oltre la parola. La lettura, un buon libro «serve a mettere ordine», a ricollocare le cose a posto nella propria testa, a piccoli pezzi. «Questo è quello che sento quando leggo un buon libro. E mi capita spesso di dire: perché non l'ho scritto io? Cosa stavo facendo, perché ho perso tempo e non sono riuscito a scrivere una cosa così bella?». L'idea per un romanzo è una storia raccontata da qualcuno, ascoltata per caso, «che fa vibrare una corda», una corda che sai potrà suonare anche in qualcun altro. Lo scrittore deve farsi «invadere» dai personaggi e in questo la scrittura è più completa del'amore, consente di portare alla luce «l'ombra».

Proprio l'esperienza radiofonica impone a Grossman una disciplina sonora nel suo lavoro: Rileggo sempre ad alta voce quello che ho scritto, è il modo per trovare tutti gli errori e per correggermi». Infine una battuta sulle rivolte in Nordafrica: è positivo tutto ciò che «porta democrazia», che significa «governo della maggioranza», ma soprattutto «rispetto delle minoranze».

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