"Non avevano un piano": l'indagine e gli errori dietro l'attacco di Hamas

Un'inchiesta del "New York Times" ha rivelato lo stato di impreparazione della Idf e dei servizi di intelligence prima e durante gli attacchi del 7 ottobre

"Non avevano un piano": l'indagine e gli errori dietro l'attacco di Hamas

L’esercito israeliano non aveva un piano per rispondere ad un attacco di Hamas come quello del 7 ottobre. La forza armata riconosciuta da tutti come una delle migliori al mondo, che ha fatto della dottrina dell’attacco preventivo uno dei suoi principi fondanti sin dai tempi di Ben Gurion, è stata colta completamente impreparata con conseguenze drammatiche per la popolazione. Il New York Times ha pubblicato un’inchiesta il 30 dicembre, in cui ha raccolto testimonianze di soldati, funzionari ed ex ufficiali per tentare di far luce sui motivi per cui la risposta delle Idf all’invasione di Israele è stata così lenta.

Le ragioni potrebbero richiedere mesi per essere scoperte. Il governo ha promesso un’indagine, ma l’inchiesta ha rivelato che l’esercito israeliano era a corto di personale, fuori posizione e così male organizzato che i soldati comunicavano in gruppi Whatsapp improvvisati”, si legge sul quotidiano. “Unità di commando si sono precipitate in battaglia armate solo per combattimenti brevi, ai piloti di elicotteri è stato ordinato di guardare i notiziari e le notizie su Telegram per scegliere gli obiettivi. Ma soprattutto, non c’era un piano per rispondere ad un attacco su vasta scala. I soldati lo hanno inventato a mano a mano”. Al momento, l’esercito non ha voluto rispondere alle domande del Times, affermando che l’obiettivo delle Idf è distruggere Hamas e che “questioni del genere saranno investigate in futuro”. Le indagini del quotidiano americano, però, hanno rivelato che le mancanze delle forze armate di Tel Aviv sono state causate da una serie di errori e sottovalutazioni del pericolo nei mesi e negli anni precedenti all’attacco.

L’esercito non si prepara a qualcosa che ritiene impossibile”, ha dichiarato l’ex generale israeliano Yaakov Amidror. I vertici delle Idf e l’intelligence erano infatti convinti che Hamas non fosse in grado di condurre operazioni di questa portata. Lo Shin Bet aveva anche ridotto le operazioni di spionaggio e le intercettazioni dei membri dell’organizzazione terroristica, oltre a mantenere l’ottimistica visione sull’incapacità bellica del gruppo palestinese anche quando è riuscito ad ottenere piani di battaglia che delineavano un’operazione come quella del 7 ottobre. In più, il governo israeliano era convinto che le unità della guardia civile, nota come Kitat Konnenut, sarebbe stata sufficiente come prima linea di difesa nei villaggi lungo il confine con la Striscia. Gli uomini appartenenti a questo corpo avevano però avvisato spesso le autorità che alcune formazioni erano male armate e poco addestrate. I riservisti, inoltre, non erano preparati ad una mobilitazione rapida in risposta ad un attacco, perché durante l’addestramento si presuppone che l’intelligence avvisi per tempo di un potenziale pericolo in modo da dare alle forze armate almeno 24 ore di tempo per prepararsi.

L’assalto alla base di Re’im è stata la chiave di volta della strategia di Hamas. Il complesso, infatti, è il centro di comando della divisione Gaza, che sovrintende a tutte le operazioni militari nella regione, e ospita due brigate incaricare di proteggere circa 64 chilometri di confine. Come altri compound militari, anche questo era a corto di personale a causa delle vacanze. Secondo un alto ufficiale, il personale chiave è stato richiamato poco prima dell’alba mentre l’intelligence cercava di dare un senso alle insolite attività di Hamas appena oltre la frontiera con la Striscia. A molti soldati, però, è stato permesso di continuare a dormire e molti si sono accorti di essere sotto attacco solo quando i terroristi sono entrati nelle camerate. Secondo il generale Samia, ex leader del Comando sud, la catastrofe avrebbe potuto essere parzialmente evitata. “Hanno costruito la recinzione e hanno posizionato il quartier generale nel mezzo del settore. I tre comandanti, due di brigata e quello di divisione, non avrebbero mai dovuto essere ospitati nella stessa struttura così vicina al confine con Gaza”, ha dichiarato. “Nello stesso campo, erano tutti e tre lì. Che errore”. Le autorità israeliane sapevano da anni che un attacco a Re’im era parte del piano di invasione di Hamas, ma hanno sempre scartato la possibilità definendola “poco plausibile”. A maggio, quando diversi analisti hanno comunicato che i terroristi stavano addestrando i loro combattenti, il numero di soldati schierati nel settore non sono stati aumentati.

Le Idf hanno impiegato quasi tutto il giorno per riconquistare la base, il che ha portato a una quasi totale interruzione delle comunicazioni all’interno dell’unità che avrebbe dovuto coordinate tutte le truppe nel sud di Israele. Un ufficiale ha affermato al Times che a mezzogiorno erano ancora convinti che vi fossero solo circa 200 uomini di Hamas nello Stato ebraico, quando in realtà il numero era dieci volte superiore. “Quando la tua divisione è sotto attacco, ci si concentra sull’eliminare la minaccia immediata”, ha spiegato il generale Ibrahim, comandante del corpo corazzato stazionato nel sud di Israele. “Questo impedisce di gestire i combattimenti in senso più ampio”. In quelle drammatiche ore, secondo un alto ufficiale dei riservisti, vi sono stati molti eroi.

Un esercito, però, ne ha bisogno solo quando la situazione si fa disperata e i soldati, ad oggi, si chiedono come sia stato possibile che le Idf siano state colte così impreparate, fallendo nel loro obiettivo principale: proteggere le vite degli israeliani.

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