
Buona parte dei media l'ha preso per una scena su cui fare un po' di spirito: Netanyahu si aspettava una grande accoglienza da parte di Trump dopo che l'aveva invitato a casa sua,e poi se non preso in giro, è stato messo in sottordine. Non gli ha dato lo sconto sui dazi, ha detto a un tratto che avrebbe cercato un accordo con l'Iran, l'ha lasciato secco. Quanto sia sbagliata questa valutazione l'hanno capito molto meglio dei media occidentali gli Aytollah, che negli ultimi giorni hanno elevato misure di difesa armata in tutto il paese, hanno dato interviste e fornito rifiuti a colloqui diretti, hanno minacciato di rappresaglie i Paesi arabi che forniscano basi di attacco contro Teheran, hanno cercato per la prima volta di mandare missili Jamal 69 che possono raggiungere l'Europa proprio mentre gli americani gli impongono il disarmo. Intanto, nella base in mezzo all'Oceano di Diego Garcia i bombers 6B sono stati parcheggiati con altre armi letali di lunga portata. Gli iraniani dal 2015 sanno che è grazie al fatto che Netanyahu ha messo in testa al suo lavoro di salvaguardia dello Stato d'Israele la distruzione del loro programma nucleare; adesso la visita di Netanyahu alla Casa Bianca, tre giorni or sono, può essere il possibile epilogo della vicenda alla vigilia dell'assemblaggio della bomba, ormai agli sgoccioli. Netanyahu e Trump sanno ambedue che la decisione iraniana di considerare la distruzione di Israele un caposaldo, non è dovuta né a biasimo né a odio personale: è la fede sciita che disegna la guerra all'Occidente, alla civiltà e alla cultura giudaico cristiana, come un imprescindibile dovere dello Stato Islamico, che prepara la redenzione del mondo tramite il dominio e la venuta del Mahdi. Di questo fa parte anche la costruzione di un futuro da shahid, che accomuna gli sciiti ai sunniti. Si uccide per Allah, si muore per Allah a migliaia, a milioni. Trump non ha sorpreso Netanyahu annunciando che vuole trattare, che vanitosa fantasia è questa: chi non lo farebbe fra i primi ministri di un Paese occidentale? La guerra, per il presidente Trump in particolare che lo aveva messo nel programma elettorale, è la seconda opzione. Tuttavia lo scopo è chiaro: l'Iran non può, non deve, non sarà nucleare. E deve accettare, dice Trump, le nostre proposte altrimenti pagherà un prezzo molto alto, «hell to pay». Chi ha voluto leggere stupore nell'atteggiamento di Netanyahu dimentica che i due hanno parlato per ore, che Netanyahu non aveva ragione di obiettare alcunché, era d'accordo e l'ha ripetuto uscendo. Un presidente americano per la prima volta ha annunciato che userà la forza se Khamenai non ci sta: sabato, fra due giorni soltanto ci saranno colloqui in cui si vedrà se l'Iran vuol menare il can per l'aia per costruire la bomba. Ma tutti conoscono l'Iran, Trump sa che non ci si può fidare di mezze promesse, che l'unico modo di evitare a Israele, all'Europa, agli Usa, un chiaro e presente rischio atomico, è privarla degli strumenti per riprodurlo. L'Iran non ha mezzi termini, e l'unica strada è: o che consegni l'uranio e le strutture, o bombardarli. Trump ha parlato, Bibi l'ha ascoltato e certo gli ha anche descritto un Medio Oriente diverso, in cui proprio ieri gli hezbollah offrono di consegnare le armi, Gaza e la Siria sono irriconoscibili, gli Houty sono a pezzi.
La pace è in vista, ma l'Iran non può essere atomico.
Oh, e I dazi? Sarebbe stato davvero strano che Trump il campione del business internazionale al primo ministro che gli chiedeva una sconto avesse detto di «si»: che avrebbe fatto allora, dopo, con tutti gli altri in coda dopo Israele? Doveva mostrare loro che nello shuk si fanno sconti solo a qualcuno? Non si fa così.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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